C’è un bimbo con l’impermeabile giallo che corre sotto la pioggia.
Si chiama Georgie e insegue la barchetta di carta costruita per lui dal fratello più grande Bill.
La barchetta corre lungo le strade trasformate in torrenti, naviga, s’incastra, riprende il viaggio sino a cadere dentro un tombino.
Georgie si avvicina, per riprenderla. Ma, in quel tombino, non trova sola la barchetta.
C’è uno strano pagliaccio, che abita nelle fogne.
Un pagliaccio che sorride, ma nasconde i denti e vuole farti galleggiare nel buio, insieme a tanti altri bambini scomparsi.
E Georgie finisce con lui, giù nel tombino.

Inizia così “IT”, forse il libro più celebre e denso e importante – anche se non, per forza, il migliore –  di Stephen King.
Inizia così la miniserie televisiva “IT” di Tommy Lee Wallace del 1990.
Inizia così anche il primo capitolo del film in due puntate “IT” di Andres Muschietti, in sala in questi giorni.
Si tratta di un incipit tremendo e indimenticabile, un treno in faccia di emozioni per il lettore-spettatore che già vuole bene al piccolo Georgie, detesta vederlo morire, prova compassione per il fratello Bill che lo perderà per sempre.
E quando ieri, al cinema, ho visto l’inizio del nuovo film “IT” e ho ritrovato quelle emozioni, quello shock per la tragedia, quell’orrore per il pagliaccio, ho sorriso, pensando che avrei avuto quanto cercavo dalla serata.
A volte un film è un’esperienza personale, intima ed io ero certo che lo sarebbe stata per me, avendo amato il romanzo ed essendo un fan di King al punto da visitare in viaggio di nozze Bangor, la città dove King ancora vive e a cui si è ispirato per creare la Derry di IT.
Ma questo non significa che la storia del libro-IT sia nota a tutti: dunque faccio un passettino indietro e provo a riepilogarla in breve, cercando di evitare ogni spoiler.

Il romanzo si apre con la scomparsa del piccolo Georgie nel maledetto tombino della cittadina di Derry, dicevamo.
Poi il racconto si sposta su un gruppo di uomini adulti fra cui Bill, il fratello di Georgie, e l’unica donna di nome Beverly, che devono tornare in quella Derry dove sono stati bambini insieme. Devono tornarci perché hanno scoperto che è tornato anche qualcun altro.
Si tratta di IT, presenza malvagia in grado di assumere la forma delle paure di ciascuno e che abita nelle fogne della città. Un mostro millenario che si nutre dell’odio e della cattiveria della cittadina, succhiandola dai suoi canali come sangue vitale. Un essere che, ogni 27 anni, torna a uccidere, assumendo preferibilmente le sembianza del pagliaccio Pennywise. Quegli stessi uomini, da bambini, sono stati una banda: i Perdenti.
Grazie alla loro amicizia, alla capacità di sognare, amare e lottare hanno sconfitto IT da ragazzi, al prezzo di una tremenda lotta. Adesso, da uomini adulti e senza quei poteri che erano un dono della loro infanzia, devono battersi di nuovo.
Il libro, per tutta la durata, vive di alternanza fra passato e presente, in un costante gioco di flashback. Lo stesso faceva la mini-serie televisiva.

La scelta di IT-film, invece, è diversa.
La storia è nettamente spaccata in due: il capitolo uno, ora in sala, è dedicato per intero al Club dei Perdenti da ragazzi. Il secondo film, che uscirà più avanti, li racconterà da adulti.
Credo che sia proprio questo uno dei limiti principali dell’attuale lavoro.
La forza del libro sta nel fatto di seguire le vicende dei Perdenti-adulti intrecciate a quelle dei Perdenti-bambini. Questo genera empatia su un doppio livello: soffriamo seguendo questi adulti disincantati e sofferenti dopo averli visti nei flash back come coraggiosi ragazzini disposti a lottare con il Male. Al tempo stesso, ci commuoviamo leggendo dei Perdenti ragazzini, sapendo quanto dolore e quanta sofferenza ancora li aspetterà da grandi.
Negli ormai adulti Bill, Beverly, Ben, Richie, Mike, Eddie ritroviamo una parte dei ragazzi che sono stati e, al tempo stesso, ci accorgiamo anche di quanto questi adulti abbiano irrimediabilmente perduto.
Nel film tutto questo manca: seguiamo le vicende dei Perdenti da ragazzi, senza sapere nulla degli adulti. E, anche dei ragazzi sullo schermo, non arriviamo quasi mai a vedere il cuore.
Forse il solo personaggio di Eddie, il bimbo malaticcio e ipocondriaco ossessionato da una madre opprimente, rifulge di più dimensioni e di un conflitto interno ed esterno forte. Non a caso IT, per lui, assume l’aspetto “speciale” di una persona malata. E poi c’è Bill, che cerca disperatamente il piccolo Georgie, ma appare clamorosamente slegato dalla sua famiglia, che non si vede quasi. Infine c’è Beverly, la ragazza molestata dal padre e da una reputazione infame quanto non meglio giustificata.
Gli altri protagonisti, che nel libro erano trattati (quasi) alla pari, rimangono qui diversi passi indietro, specialmente Mike, il ragazzo nero dolorosamente colpito dal razzismo, tematica del tutto assente nel film e annacquata dal fatto che la storia si svolge qui negli anni ’80, invece che nei ’60 del romanzo.
Del tutto assente è, alla stregua del tema razziale, anche la tensione sessuale che pervade il romanzo e trova uno sfogo inatteso nel suo finale: qui ci fermiamo a occhiate di traverso e bacetti, forse nell’ottica di tenere ampia la fascia di pubblico raggiungibile.
Lo spettatore non ha tempo e mondo di legarsi a questi adolescenti e così, dopo la prima scena, l’empatia inizia a consumarsi per poi svanire.
Poteva un semplice film di due ore riuscire nell’impresa di creare questo legame?
Non saprei.
Ma, nel momento in cui ti cimenti con un libro del genere, è questo ciò che io mi aspetto.
Il guaio è che svanisce presto anche la paura.

Il film punta tutto su Pennywise, il pagliaccio mostruoso da cui si traveste IT.  Ho già raccontato da dove King trasse ispirazione per questa figura, in questo articolo.
Nel libro di King, IT non è mai solo un pagliaccio.
La creatura diventa licantropo, vampiro, mummia, statua assassina. Diventa bambini annegati e giunge fino ad assumere le sembianze di molte persone reali che i protagonisti odiano. Nel film parte di queste trasformazioni mancano e IT è principalmente Pennywise.
Attenzione, non sostengo che questo Pennywise non sia inquietante: anzi, lo è molto. In particolare quando si muove dinoccolato e disossato, senza bisogno di troppi effetti speciali, è un mostro parecchio riuscito e davvero ben interpretato dal più piccolo dei fratelli Skarsgård, Bill.


Nemmeno voglio scrivere che mi sia mancato di vedere IT assumere le sembianze di questa o quella creatura, dal momento che gli effetti e le visioni inquietanti, comunque, non mancano.
Quello che manca, piuttosto, è la profondità del Male di IT – libro. La sua capacità di colpire le vittime lì dove sono deboli, il suo non essere davvero solo un pagliaccio o qualsiasi altro genere di mostro, ma un Male in grado di insinuarsi dentro ciascuno di noi. Un Male ben più atavico di un pagliaccio cattivo, una mefitica presenza che da secoli alberga a Derry e che, in qualche modo, gli abitanti della cittadina contribuiscono a nutrire.
Proprio Derry è il più clamoroso personaggio assente del film.

Derry Maine

I luoghi e persino i nomi delle strade sono gli stessi del romanzo, ma la somiglianza rimane precisa quanto superficiale.
La Derry del film perde tutto quel carattere di coacervo malsano, di tumore vivente che, nel libro, permette a IT di farne la sua tana accogliente e proliferare negli anni.
“Può un’intera città essere posseduta?” si chiede uno dei protagonisti, nel romanzo. “Non una singola casa in quella città, o l’angolo di una determinata via, o quell’unico campo di pallacanestro in un certo giardino, con il cerchio privo di rete che si staglia al tramonto come un oscuro e insanguinato strumento di tortura, non solo una zona, ma tutto. La città nella sua interezza. È possibile?
Qui Derry non emerge mai, non è nient’altro che una qualsiasi città infestata da ricorrenti e poco spiegate apparizioni: troppo poco, troppo semplice.
Ed è questo che mi è parso IT: un film semplice o, piuttosto, semplificato.
Non che non sia godibile, come prodotto a sé.
Abbiamo detto del pagliaccio che fa il suo lavoro, ci sono alcune scene adeguatamente respingenti (come quella di Beverly nel suo bagno che richiama, anche visivamente, il finale di Carrie), lo “scontro finale” di questo primo capitolo è efficace e senza dubbio anche più adrenalinico di quello lungo e onirico del libro.
L’ambientazione, spostata dagli anni ‘60 del libro alla fine degli anni ’80, del film funziona bene anche visivamente, inserendosi nel filone inaugurato da “Stranger Things”, complice qualche citazione ottantiana, dalla band dei New kids on the block al film “Nightmare”.
“Anche voi galleggerete” dice il manifesto di IT-film.
E lo stesso vale per la pelliccola: galleggia, e basta.
Rimane un horror come tanti, ben confezionato quanto anonimo, che non scalda davvero il cuore come – per esempio – riuscivano a fare il citato “Stranger Things” o l’indimenticabile “Stand by me” tratto da un altro racconto di King che investiva forte sul legame insolubile dei protagonisti.
Scrive, King, nel romanzo IT:
“Forse non esistono nemmeno amici buoni o cattivi, forse ci sono solo amici, persone che prendono le tue parti quando stai male e che ti aiutano a non sentirti solo. Forse per un amico vale sempre la pena avere paura e sperare e vivere. Forse vale anche la pena persino morire per lui, se così ha da essere. Niente amici buoni. Niente amici cattivi. Persone e basta che vuoi avere vicino, persone con le quali hai bisogno di essere; persone che hanno costruito la loro dimora nel tuo cuore”.
Ecco, in questo IT-film più che un vero legame vediamo un’incollatura con fratture anche grossolane, in particolare per il personaggio di Mike che rimane del tutto monodimensionale e sconnesso dal resto del gruppo come, in parte, lo sono anche il timido e grasso Ben e il razionale Stan Uris.

Club Perdenti IT film

Un balbuziente che ha perso il fratello, una ragazzina molestata con la fama di poco di buona, un chiacchierone linguacciuto e sfigato, un ipocondriaco oppresso dalla madre, un ragazzino ebreo razionale e incapace di accettare il Male, l’unico adolescente nero della città e il ragazzo più grasso della città: questi sono i Perdenti del libro, perdenti per davvero, perdenti per cui è impossibile non parteggiare.
Questo film, invece, non ci mostra altro che l’ennesimo gruppo di amici con all’interno una ragazza da cercare di baciare: qualcosa che abbiamo già visto troppe volte – e anche meglio – altrove.
Non bastano le sfide al mostro insieme, un paio di proclami e un patto di sangue a farci sentire quanto e per quali ragioni i ragazzi siano così intimamente legati nel dramma che devono affrontare.
Attendo con interesse il capitolo 2 del film, per capire se, nel raccontare la vicenda più cruenta degli adulti, ci sarà un riscatto di empatia e partecipazione per il pubblico, oltre che una chance di affezione per i protagonisti, perché in questo IT non sono riuscito quasi mai a parteggiare per i Perdenti, a sentirmi uno di loro, a temere per la loro sorte, a sperare se la cavassero.
E chi, come me, ha letto e amato l’indimenticabile libro di King capirà che si tratta di una colpa quasi  imperdonabile.

 

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