Quando i fascisti lo convocano, quel giorno, Gino Bartali ha paura.
Ma deve andare, sanno dove abita, ha un bimbo piccolo.
Non che non lo abbiano mai controllato, dopo lo scoppio della guerra. Il ciclismo è fermo per via del conflitto, i grandi giri sono sospesi e lui, il campione più forte di tutto, si allena lo stesso, sperando di tornare a gareggiare. Va soprattutto a correre sulla strada che divide Firenze e Assisi ed è facilissimo che lo fermino a un posto di controllo. Ma ogni volta riconoscono il naso grande e la voce roca, ogni volta sanno che quello è il campione già vincitore del Giro d’Italia, del Tour de France e di tante altre gare.
Non serve controllarlo e tutto fila liscio, fino a quel giorno.
Ma stavolta è diverso, perché non si tratta di un controllo per caso, sulla strada: lo hanno convocato a Villa Triste, il palazzo di Firenze dove è alloggiata la Banda Carità che lo cerca.


La banda Carità non ha nulla di gentile, nonostante il nome. La comanda, infatti, il criminale di guerra Mario Carità ed è una delle più crudeli formazioni fasciste, specializzata in rastrellamenti, torture e infiltrazioni dentro i gruppi partigiani per arrestarne e ucciderne i componenti.
Villa Triste è diventata famosa per le grida che provengono dalle vittime che i fascisti torturano.
A volte, dalle sue stanze, arriva la musica di un pianoforte, suonato per coprire le urla dei poveretti.
Appena arriva al palazzo, Bartali viene condotto nelle cantine, dove capisce che è tutto vero. Vede armi, bastoni e vari strumenti di tortura che sembrano medioevali e con cui si fanno parlare le persone, quando le botte non bastano.
E trova ad aspettarlo proprio lui, in gerarca in persona che vuole occuparsi del campione.
Anche Gino, soprannominato “l’uomo di ferro”, un corridore durissimo e capace di soffrire ogni tormento sui pedali, è spaventato da Carità.
Il fascista ha intercettato delle lettere, indirizzate a Bartali, che vengono dal Vaticano e lo ringraziano per il suo aiuto.
“Di che aiuto si tratta, Bartali? Cosa ha fatto per meritarsi i ringraziamenti del Vaticano? Ha portato armi?”
“Io nemmeno so sparare!”.
“E allora ha portato altre cose! Lo confessi”.
“Ho solo mandato caffè, farina e zucchero e altro cibo ai bisognosi”.
“E lei mi vuole far credere che il Vaticano scriverebbe a un campione come lei per ringraziarla di aver mandato caffè, farina e zucchero?” ghigna il comandante fascista.
“Questa è la verità” insiste Bartali.
Carità fissa Bartali con i suoi occhi da rettile.
“Vediamo se in cella si schiarisce le idee”.
Gino finisce incarcerato per due giorni, nelle stanze di Villa Triste, per piegargli la volontà.
Al terzo giorno lo riportano in cantina, ma stavolta Carità non è solo, si è portato tre altri militari. L’aguzzino fascista gli rifà la stessa domanda.
“Cosa ha fatto per il Vaticano, Bartali? Portava armi? O altro?”.
Gino insiste: “Caffè, farina e zucchero”.
Carità allora perde la pazienza, urla, ma uno dei tre ufficiali in cantina con lui è un militare che ha avuto Gino al suo servizio, ai tempi della leva.
“Comandante io conosco Bartali, è sempre stato uno sincero, uno che dice la verità. Se i ringraziamenti erano per farina e zucchero, allora è vero. Non perdiamo tempo con lui”.
Carità, riluttante, si convince a liberare il ciclista, anche perché gli americani si avvicinano a Firenze e c’è bisogno di lui e dei suoi uomini per combatterli.
Gino esce intero da Villa Triste, incredulo di essersi salvato per le parole di quel militare che lo conosceva così bene.
Eppure sbagliava, perché Gino ha mentito.
Non sono caffè, farina e zucchero, i motivi per cui il Vaticano lo ringrazia.
Per tutto il tempo in cui ha corso lungo la Firenze – Assisi, nel telaio della bicicletta cui si accede staccando il sellino, Bartali ha nascosto fotografie e altre carte necessarie a fabbricare documenti falsi destinati a centinaia di ebrei da salvare.
Lo ha fatto per conto del Vescovo di Firenze Elia Dalla Costa, l’uomo che ha celebrato il suo matrimonio e che ha pensato a Bartali come unica possibilità di passare i controlli indisturbato e spostarsi con il suo carico salvifico per mezza Italia.
“Ma non devi dire nulla a nessuno, Gino! Nemmeno alla tua famiglia. O quelli ammazzano tutti”.
Non solo: ogni volta in cui arrivava un treno da Assisi su cui viaggiavano ebrei che volevano prendere coincidenze per fuggire in altre parti d’Italia, Gino è andato al bar della stazione ferroviaria. Lì si è fatto vedere bene da tutti, si è messo in mostra per i tifosi e il caos creato dalla sua presenza ha fatto sì che la polizia fascista e i soldati tedeschi non riuscissero a controllare bene i documenti e facessero passare un po’ tutti. E poi ancora, altri viaggi in bici, fino a Genova e in Svizzera, per prendere lettere e denaro. Senza contare un’intera famiglia ebrea che è nascosta da un anno nella cantina di una sua casa.
In tutti questi modi, in quegli anni, Bartali ha salvato la vita a un numero imprecisato ed enorme di persone.
Gino, però, mantiene la promessa fatta al Cardinale; non racconta nulla a nessuno, nemmeno ad Adriana e Andrea, per proteggerli. E anche dopo, a guerra finita, tiene il segreto per sé, perché crede che “quando fai un favore ci pensi per una notte, ma te ne dimentichi il giorno dopo”.
Solo quando il padre è ormai molto vecchio, il figlio Andrea, che ha sentito girare alcune voci su questa storia, riesce a farsi spiegare dal babbo come sono andate le cose.
“Ma tu non devi dirlo a nessuno, eh!” insiste il campione. “Il bene si fa, ma non si dice. E certe medaglie si appendono all’anima, non alla giacca”.
Andrea Bartali, però, una volta che suo padre Gino muore nel 2000, ritiene doveroso tributargli l’onore che merita e rivelarne il segreto al mondo.
La storia diventa di pubblico domino e il 23 settembre 2013 Gino Bartali viene dichiarato Giusto tra le nazioni dallo Yad Vashem, il memoriale ufficiale israeliano delle vittime dell’Olocausto che, nel 2018, ha scelto di conferire a Bartali anche la cittadinanza onoraria di Israele.
Per questi motivi nel 2017 la prima squadra professionista di ciclismo israeliana, la Israel Cycling Academy, ha scelto di percorrere la stessa strada percorsa da Bartali tra Firenze e Assisi.
“Gino ha salvato persone ebree e io sono ebreo. In fondo, Gino ha salvato me” ha detto il ciclista israeliano Aviv Yechezkel.

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Questo brano è un estratto parziale dal mio ultimo libro “Abbiamo toccato le stelle – Storie di campioni che hanno cambiato il mondo”.  uscito per Rizzoli lo scorso mese di Settembre che raccoglie le storie di atleti e atleti capaci di lottare per la vittoria ma anche contro discriminazioni, dittature, razzismi, disabilità, ingiustizie. Un modo per parlare di vita attraverso lo sport.




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