Ken Saro Wiwa

Contro la corruzione in Nigeria e lo sfruttamento delle compagnie petrolifere negli anni c’è una storia enorme e terribile che ha per protagonista il poeta, scrittore, autore televisivo Ken Saro-Wiwa.
Ken Saro, negli anni 80 inizia a battersi per i diritti del suo popolo, gli Ogoni, mezzo milioni di persone che abitano il delta del Niger, territorio di enormi risorse petrolifere.
Nonostante le ricchezze delle terra, gli Ogoni sono ridotti alla fame e la popolazione beneficia solo dell’1,5 per cento del totale dei ricavi della produzione.
Agli Ogoni non arrivano soldi, per loro non vengono create scuole o posti di lavoro. Gli Ogoni, dal petrolio, ottengono solo devastazione dell’ambiente.
Il governo nigeriano ha nazionalizzato le risorse naturali, ma non è in grado di sfruttarle autonomamente. Il paradosso è che la Nigeria si affida a compagnie estere per impianti e lavoro di estrazione, ma non ha raffinerie per lavorarlo e trasformarlo, così importa dall’estero la benzina.
Ken Saro-Wiwa punta il dito contro la compagnia Shell e le conseguenze dell’estrazione supportata dal Governo. Il petrolio riversato in mare danneggia la pesca costiera, l’estrazione uccide le piante e compromette le foreste equatoriali, gli scarichi delle raffinerie causano malattie. È un vero cataclisma.
Ken Saro-Wiwa si fa voce di questa protesta, in cui tenta di coinvolgere anche grandi organizzazioni come Greenpeace e Amnesty International, all’inizio senza successo.
Per Greenpeace è necessario che prima l’istanza venga dalle popolazioni locali e Amnesty International può intervenire solo nel caso vi siano violenze, maltrattamenti o violazioni dei diritti dimostrabili.
Ken allora cerca di rendere la sua battaglia ancora più visibile e concreta: fonda un movimento pacifico per la sopravvivenza del popolo Ogoni MOSOP, che denuncia i comportamenti del governo e della Shell e cerca di tutelare la lingua, la libertà di culto, i diritti della comunità Ogoni e le sue terre divorate dall’industria del petrolio.
Celebre per la pipa che lo accompagna sempre, Ken scrive articoli, tiene comizi, divulga le sue parole sino al clamoroso successo del 4 gennaio del 1993, quando arriva a portare in piazza oltre la metà di tutti gli Ogoni: 300.000 persone che manifestano pacificamente per i diritti del loro popolo sfruttato.

Ken Saro-Wiwa
Ken dichiara che la Shell è una compagnia «non gradita agli Ogoni».
La mobilitazione ha visibilità mondiale e riesce a coinvolgere nella battaglia Greenpeace che, di fronte alle proteste di un intero popolo, decide di sostenere a livello internazionale le istanze del MOSOP e lo stesso fa Amnesty International.
Il governo s’infuria e scatena rappresaglie e violenze nei villaggi degli Ogoni; lo stesso Ken Saro-Wiwa viene più volte arrestato.
La speranza resiste nelle elezioni del 1994, che dovrebbero portare la democrazia in Nigeria, ma alla fine del 1993, con un colpo di mano, il feroce ministro della Difesa Sani Abacha sale al potere, scioglie le istituzioni democratiche e negli incarichi di governo sostituisce i politici eletti con ufficiali militari.
Abacha incontra i vertici della Shell per far riprendere la produzione della Shell. Per il dittatore nigeriano il ribelle Saro–Wiwa è un doppio obiettivo perché chiede nelle strade diritti e tutela per gli Ogoni e perché le sue proteste – che costringono a fermare l’estrazione di petrolio
Bisogna fermare Ken Saro-Wiwa, ma per colpirlo serve un pretesto e Abacha lo trova nel giugno del 1994, quando in un assalto armato nei territori Ogoni vengono uccisi alcuni capi tribù vicini al governo. La strage, quasi certamente, è messa in atto dai servizi segreti di Abacha stesso, ma diventa l’occasione per screditare e accusare Ken, che subisce una lunga serie di arresti, scarcerazioni e detenzioni durissime.
Diverse dichiarazioni accuseranno negli anni la Shell di aver fornito supporto alla persecuzione messa in atto da Abacha.

In carcere, Saro-Wiwa scrive e racconta la sua prigionia nel libro dal titolo terribile e premonitore: Un mese e un giorno. Storia del mio assassinio.
Per lui si muovono molti intellettuali, persino Nelson Mandela prova a mediare con Abacha, e il figlio di Saro-Wiwa, Ken Junior, cerca di convincere i leader politici del Commonwealth a schierarsi contro la dittatura del ministro della Difesa, ma alla fine nessuno ha il coraggio di assumere una posizione ostile al regime.
Le dichiarazioni di fuoco arriveranno, ma arriveranno tardi.
Il processo contro Ken Saro-Wiwa e otto attivisti del MOSOP è una lunga farsa in cui gli imputati vengono accusati di reati che non hanno commesso e progressivamente privati di tutti i diritti difensivi, al punto che per protesta i loro avvocati si dimettono, visto che non hanno modo di difenderli.
Di fatto senza prove concrete il 31 ottobre 1985 il processo si conclude con la condanna a morte di tutti gli accusati.
«Oggi è un giorno nero per il popolo nero» dichiara Ken con drammatica ironia.
Nonostante tutto ancora si pensa che Abacha non arriverà a tanto e che la condanna non verrà eseguita, perché c’è ancora tempo per ricorrere in appello.
Invece, il 10 novembre 1995, alle undici e mezza, mentre tutta la Nigeria è distratta dal ritorno in campo della fortissima nazionale nigeriana di George Finidi e Sunday Oliseh dopo i Mondiali di calcio del 1994, Ken Saro-Wiwa viene portato fuori dalla cella verso un altro campo, dove è stata preparata la sua forca.
Prima lo costringono ad assistere all’impiccagione degli otto attivisti processati con lui, quindi gli mettono la corda al collo. Ma i boia non sono abbastanza bravi, oppure sono stanchi, o forse sono consapevoli persino loro dall’orrore ingiusto che stanno compiendo e legano male la corda.
Per quattro volte aprono invano la botola, senza riuscire a rompere il collo del condannato.
«Perché mi fate questo?» ha tempo di chiedere Ken Saro-Wiwa ai suoi carnefici.
Già, perché?
Per le sue parole.
Al quinto tentativo Ken Saro-Wiwa muore.
Dopo il decesso versano acido sul suo corpo per impedirne il riconoscimento e lo buttano in una fossa comune.
Anche quando la dittatura di Abacha crolla, la famiglia Saro-Wiwa non riesce a ottenere il corpo di Ken, ma decide di celebrarne lo stesso il funerale.
Nella bara c’è la sua pipa insieme ai suoi libri.
Soltanto nel 2005 i figli di Ken riusciranno a ricomporre le spoglie identificate del padre e a seppellirle nel suo villaggio.
Nel 1996 la famiglia ha avviato un’azione legale negli Stati Uniti per citare la compagnia Shell per le sue violazioni dei diritti umani in Nigeria.
La legge americana, infatti, permette ai cittadini stranieri di chiedere un processo per violazioni internazionali dei diritti umani e tutela contro le torture, anche quando questi crimini sono commessi al di fuori degli Stati Uniti.
Dopo un’estenuante battaglia legale che impegna la famiglia Saro-Wiwa per quattordici anni, il processo viene fissato nel giugno 2009.
A quel punto la Shell, temendo le conseguenze di un dibattito pubblico davanti agli occhi del mondo, deve cedere. Di fatto la compagnia petrolifera patteggia un versamento ai familiari delle vittime di quindici milioni e mezzo di dollari, che giustifica come ristoro per le spese legali e atto di riconciliazione per le sofferenze inflitte al popolo nigeriano.
La famiglia accetta, ritenendo quella dichiarazione un’ammissione implicita di colpa: «Il fatto che la Shell sia costretta a patteggiare per noi è una chiara vittoria» dichiara Ken Junior.
Ancora oggi, però, la terra degli Ogoni è devastata dallo sfruttamento petrolifero.
Nel 2011 un report scientifico del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente ha certificato che un recupero ambientale del delta del Niger richiederebbe qualcosa come trent’anni di tempo e interventi per un miliardo di dollari, che dovrebbero arrivare proprio dalle compagnie responsabili di quel disastro.
Nel 2019 Esther Kiobel – moglie di Barinem Kiobel, uno degli attivisti uccisi con Ken – ha intentato, insieme ad altre tre vedove, una nuova causa contro la Shell, questa volta in Olanda, dove la compagnia ha sede. Queste donne vogliono dimostrare il ruolo della compagnia nella morte dei loro mariti.
Per questo le parole che Ken pronunciò prima di morire risuonano oggi ancora forti: «Sono stato un uomo con delle idee, delle buone idee. E se io oggi vengo ucciso le mie idee vivranno per sempre e il popolo Ogoni, in nome del quale io sto per morire, un giorno si libererà dell’oppressione. Il signore accolga la mia anima, ma la lotta continua.»
Il 4 gennaio, anniversario della grande manifestazione con cui Ken Saro-Wiwa è riuscito a dar voce alla sua gente, è oggi festa nazionale del popolo Ogoni.

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Questa storia, raccontata in forma più estesa e dettagliata, è inclusa nel mio libro “Come fiori che rompono l’asfalto – Venti storie di coraggio” edito da Rizzoli e uscito nel Settembre 2020.
Si trova in tutte le librerie fisiche e negli store digitali.


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