La ragazza dai sette nomi

 

“Siamo come la Corea del Nord!” ho sentito gridare ad alcuni politici nostrani, durante la pandemia.
Sicuri?
Per spigare come mai questa frase è fuori luogo vi racconto la storia di una ragazza cresciuta in Corea del Nord chiamata Hyeonseo Lee.
Hyeonseo nasce sotto il governo del Grande Leader, Kim II-sung l’uomo che ha preso il potere al termine dalla guerra con lo Corea del Sud.
È il padrone assoluto dello Stato, abita in un palazzo rivestito di marmo con chilometri di tappeti, nella capitale ha fatto erigere una sua statua gigantesca, le sue foto e i suoi ritratti campeggiano in ogni città, ufficio, scuola. Ha creato un museo dei regali che riceve.
Nonostante sia ricchissimo e si muove su treni privati, a bordo dei quali mangia cibo cucinato da chef, la Corea del Nord è poverissima.
In pochi, però, tentano di scappare, perché i confini sono i più vigilati del mondo, e si rischia di essere catturati e condannati a morte o di sparire in un campo di prigionia, dove possono essere rinchiusi anche genitori e nonni perché le pene colpiscono anche le famiglie dei dissidenti.
Nei campi le persone vengono torturate o uccise, e basta solo un furto o una critica al Grande Leader per finirci, eppure gli abitanti della Corea del Nord non possono capire quanto sia terribile la dittatura: non sono mai usciti dal paese, le televisioni raccontano che oltre i confini tutto il mondo è corrotto e vuole il male del Grande Leader e dei suoi cittadini.
A scuola raccontano a Hyeonseo che il Grande Leader per cui recitano preghiere è un misto fra Dio e Babbo Natale che le porta i regali, le dicono che abbia camminato sull’arcobaleno.
Eppure qualche volta, alle elementari, Hyeonseo deve interrompere le lezioni per assistere all’esecuzioni capitali in piazza.  Un amico del suo papà che ha osato dire «Questo sistema è ingiusto» è scomparso.
Criticare il Grande Leader, telefonare all’estero, ascoltare musica non autorizzata, lamentarsi della morte di un parente: tutto può diventare un crimine.
Poi, un giorno del 1994, il Grande Leader muore e gli succede il figlio, il Caro Leader Kim Jong-il.
Sui giornali e in tv dicono che pure lui è una specie di divinità: un grande atleta, un musicista, un poeta. Non ha mai fatto il soldato, si autoproclama capo supremo delle forze militari per difendere il suo paese dai nemici oltre confine.
Eppure nel 1995 la gente inizia a morire in strada. Di fame.
Alluvioni e siccità hanno distrutto i raccolti della Corea del Nord, che ha un territorio freddo, spesso ghiacciato. Nessuno aiuta la popolazione, la fame dilaga al punto che le persone mangiano il granoturco ancora acerbo, le cortecce d’albero, gli insetti, l’erba, come animali.
Si parla di un milione di morti, ma nessun media li cita.
Hyeonseo non capisce: i libri di scuola, la radio, la televisione le hanno sempre raccontato che la Terra del Nord è il paese più felice del mondo.
E allora perché le strade sono piene di cadaveri? Perché iniziano i blackout e, oltre il confine cinese, oltre il fiume Amrok, i palazzi hanno le luci accese?
Hyeonseo Così decide di provare a raggiungerle, attraversando a piedi il fiume Amrok ghiacciato, grazie all’aiuto di una guardia di frontiera.

Hyeonseo, in Cina, si deve inventare tanti nomi diversi, ogni volta che la controllano, per evitare il rimpatrio in Corea del Nord, dove pagherebbe la fuga con la morte o con la prigionia nei campi. La ragazza dai sette nomi.
Solo grazie al cinese che suo padre le ha fatto studiare si salva, fingendo di non essere coreana. In Cina Hyeonseo vive 10 anni e scopre che tutto quanto le hanno insegnato in passato è falso, che la Corea del Nord è una dittatura che da decenni perseguita in ogni modo il suo popolo.
Hyeonseo riesce infine a prendere un aereo per trovare asilo in Corea del Sud, il paese che per tanti anni ha creduto ostile, nemico. Invece trova città piene di colori, persone con i capelli acconciati nei modi più diversi, pubblicità sui muri. Insomma, trova il mondo libero che lei non immaginava esistesse.
Eppure la vita di una profuga resta difficile.
La polizia sorveglia i rifugiati del Nord con continue chiamate e accertamenti, temendo siano spie.  Non riesce a liberarsi della sensazione di angoscia e controllo che deriva dalla lunga vita sotto la dittatura e parla un coreano diverso, che la rende riconoscibile immediatamente. I fuggiaschi della Corea del Nord sono spesso penalizzati sul lavoro o discriminati nelle situazioni quotidiane, che si tratti di prendere un mezzo pubblico o andare a scuola, dove subiscono maggiormente atti di bullismo. Molti coreani del Nord cercano di nascondere la loro origine.
Hyeonseo si adatta alla nuova vita e inizia a prepararsi per l’Università, quando arriva una notizia sconvolgente: la Corea del Nord ha rintracciato dei soldi che lei ha mandato a casa e minaccia di deportare i suoi da qualche parte nel paese.
La ragazza sale su un volo per la Cina da cui è già fuggita e quindi, una volta atterrata, raggiunge il confine con la Corea del Nord, dove riesce a farsi raggiungere dalla madre e dal fratello, dopo quattordici anni di separazione.
Quando arrivano in un albergo, spaventati e tremanti si abbracciano e piangono per una notte intera, mentre Hyeonseo spiega agli altri due il suo piano: attraversare la Cina per 3,000 chilometri in bus e raggiungere il Laos, poi chiedere asilo presso l’ambasciata della Corea del Sud.
Ma durante un controllo del bus un ufficiale di polizia cinese chiama uno a uno tutti i passeggeri. Hyeonseo è terrorizzata visto che suo fratello e sua madre non parlano una parola di cinese.
Hyeonseo si alza e lo accompagna: «Ci scusi, è sordomuto, parlo io per lui».
Il poliziotto, perplesso, chiama anche la madre.
«È sordomuta anche lei» spiega Hyeonseo.
«Ci sono troppo sordomuti, su questo bus» dice l’ufficiale cinese, poi chiede all’autista: «La ragazza dice la verità?».
«Sì» risponde quello, e nessuno dei passeggeri dice nulla, anche se tutti hanno capito che sono coreani.
Quando arrivano in Laos, prima di raggiungere l’ambasciata, la mamma e il fratello di Hyeonseo vengono riconosciuti e arrestati.
Lei è disperata, ha finito i soldi, non sa davvero più cosa fare per aiutarli ed evitare il rimpatrio, proprio ora che sono quasi alla meta.
È in quel momento che un uomo calvo le si avvicina e le dice che l’ha già vista, su uno dei bus del loro lungo viaggio. Le chiede in inglese: «Cosa c’è che non va?».
La ragazza gli spiega tutto.
«Aspetta un attimo» dice l’uomo calvo e si allontana per poi tornare coi soldi contanti necessari a liberare la famiglia di Hyeonseo.
«Perché lo fai?» chiede lei incredula. «Perché mi stai aiutando?»
«Non sto aiutando te» risponde lui. «Sto aiutando i nordcoreani. Io mi chiamo Dick.»
Lo sconosciuto paga per la famiglia Lee e per altri tre nordcoreani detenuti, e paga anche il biglietto aereo di Hyeonseo per la Corea del Sud.
La prima volta che la madre di Hyeonseo vede un bancomat pensa che sia un meccanismo manuale e si chiede come faccia, il dipendente della banca, a restare chiuso dentro quella macchinetta senza finestre e a consegnare i soldi attraverso la fessura.
I profughi devono imparare da zero cose per noi elementari come comprare liberamente vestiti in un negozio, scegliere un taglio di capelli, utilizzare un cellulare, prelevare lattine da un distributore automatico
La forza della libertà, la sua potente grandezza, toglie ai profughi il respiro, li soffoca. La dittatura ha dato loro una visione distorta del mondo, e – senza quella – si sentono come monchi, incapaci di vivere fuori dal suo controllo.
Alcuni profughi del Nord chiedono addirittura di tornare indietro nonostante le pene che li attendono, perché non sanno adattarsi a un mondo libero così distante da tutto quanto hanno conosciuto.
La Corea del Nord continua ancora oggi a essere governata dalla dinastia crudele dei Kim, con il Grande Successore, Kim Jong-un, protagonista negli ultimi anni del continuo braccio di ferro con gli Stati Uniti circa l’uso di armi atomiche e i test missilistici denunciati dalla Corea del Sud.
Jong-un ha studiato all’estero sotto falso nome, è appassionato di basket, ma è perfetto discendente di padre e nonno.
Ha un patrimonio di 5 miliardi di dollari in un paese dove lo stipendio medio delle persone varia tra 1 e 3 euro. Possiede decine di case e venti stazioni, oltre a 6 treni personali per muoversi con tanto di suite, vasche da bagno, acquari con le aragoste per la cena.
Ha creato una sua rete internet dove circolano solo le notizie che il regime vuole diffondere e continua a perseguitare chiunque lasci il paese. Non permette di possedere una macchina, avere una connessione dati al cellulare o indossare i blue jeans, che appartengono al mondo nemico. Non si possono tagliare i capelli in modo diverso dall’orribile acconciatura a scodella del Grande Successore.
Kim Jong-un è un uomo facile all’ira e ha perpetrato azioni degne di un romanzo horror: si dice che abbia fatto uccidere la fidanzata per un tradimento; che abbia fatto sbranare lo zio dai cani per poi eliminare anche il resto della famiglia; che abbia fatto sparare con un cannone un ministro a suo parere inadeguato; che abbia ordinato di giustiziare l’architetto di una stazione che non gli piaceva. Difficile accertare la verità, visto che i giornali non possono diffondere notizie diverse da quelle imposte dal regime e nessun media occidentale è ammesso.
Per questo le testimonianze dei pochi fuggiaschi come Hyeonseo sono così importanti: raccontando la tragedia della dittatura e coltivando un seme di lotta e la speranza che, nel tempo, il popolo coreano del Nord scopra che esiste un mondo migliore fuori dai suoi confini.
Anche l’aiuto degli sconosciuti è fondamentale, come quello di Dick che pagò per aiutare Hyeonseo nella sua fuga. Dopo aver raccontato la loro vicenda in tanti video visualizzati in tutto il mondo, Hyeonseo è riuscita a ritrovare Dick, che vive in Australia, e a incontrarlo.

La ragazza dai sette nomi

Ancora oggi lei e il suo salvatore sono in contatto a distanza.
Cose meravigliose che possono accadere, in un mondo libero.

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