A viso coperto ha il suo diretto antecedente Stile Libero nel fortunatissimo ACAB di Carlo Bonini. Queste opere incrociano due “temi” ben presenti nel catalogo dei maggiori editori italiani: la storia di poliziotti e la passione per il calcio.

Il poliziesco è un macrogenere talmente ampio in Italia da avere multiple sottocategorie: una cosa sono “le avventure della squadra di poliziotti”, un’altra i “gialli del commissario” (ad es. Vipera di De Giovanni, Stile Libero, fine 2012); anzi una cosa sono i gialli contemporanei del commissario, un’altra quelli storici. Questi romanzi vengono oggi molto ben accolti sia in libreria che in giuria letteraria:Vipera ha vinto il Premio Bancarella, A viso coperto il Calvino.

Sulla passione calcistica nel 2013, insieme a Gazzaniga e variando giudiziosamente il tono, Stile Libero ha pubblicato Atletico Minaccia Football Club di Marco Marsullo. Ricordo poi, banalmente e senza alcuna supericiliosa polemica, che poliziesco e calcio sono due delle principali colonne della tv italiana, tra fiction e non-fiction.

 A viso coperto non è presentato come un romanzo di genere: la quarta di copertina si apre con “Riccardo Gazzaniga è un poliziotto” (ovviamente la connotazione di disilluso manca) e subito dopo insiste sul “vero scrittore, e lui lo è” e “il respiro e la forza” del romanzo.

La copertina mostra un agente e un manifestante contrapposti. Come spesso accade nei progetti grafici Einaudi la produzione è sapiente, con lo spazio diviso in quattro zone ideali: nelle due superiori trovano posto, sopra uno sfondo non riconoscibile, l’editore, l’autore e il libro con un tipografia pulita e cromaticamente discreta; nel quadrato in basso a sinistra il “poliziotto” (a breve la spiegazione delle virgolette) nella sua divisa d’ordine pubblico con casco e protezioni; in quello in basso a destra un giovane con maglietta a coprire la parte inferiore del viso. I due protagonisti dell’immagine sono uniti solo dallo sguardo di sfida, risentimento, odio (psicologizzate come volete) del ragazzo verso l’agente.

L’immagine è stata preparata con cura: si isola un dettaglio di una scena più ampia e tutto quel poco di sfondo che rimane viene sfumato; l’unica cosa che si vede, l’unica cosa che si deve vedere in questo quasi bianco e nero molto ideologizzato è la contrapposizione. Viene comunicato lo scontro metropolitano in essenza, cioè al di fuori di e oltre ogni contesto: il calcio e pure la “rabbia ultrà” scompaiono, facendo posto a qualcosa di più alto e tragico. Per confronto: la copertina del libro di Marsullo ha una fila di omini del calcetto, mentre ACAB di Bonini opta per un riferimento altissimo, la Medusa di Caravaggio, ma di basso impatto, ovvero irriducibile a icona pop dello scontro come l’immagine di A viso coperto.

La copertina elabora una foto di Pablo Rojas Madariaga, scattata il 25 agosto 2011, in Cile. L’immagine originale qui sotto lascia riconoscere le lettere “arabinero” di “Carabineros de Chile” e mostra appunto una scena più ampia, non italiana e non calcistica.
Credo inoltre che il “18-9″ sul casco, photoshoppato via nella copertina Einaudi (e vedi pure l’altra immagine di Wikimedia), costituisca quel segno identificativo del tutore dell’ordine pubblico in piazza non ancora adottato in Italia [vedi la petizione sull’introduzione di numeri identificativi per le forze dell’ordine in assetto antisommossa e il commento di G. Russo Spena e G. Montalbano]. Questa misura non mi pare neppure nominata nel libro di Gazzaniga e ove fosse stata adottata avrebbe reso impraticabile uno dei principali nodi della sua trama: l’inidentificabilità di un agente che compie un abuso durante un’operazione ai cancelli dello stadio Marassi di Genova.

Foto di Pablo Rojas Madariaga
 

Copertine e schede a parte, Premio Calvino a Gazzaniga e vari premi polar a Varenne a parte, il romanzo di genere, anzi – per evitare ambiguità – il romanzo di consumo, a mio giudizio è A viso coperto. E pure in questa forma non convince. La lingua sempre di servizio in troppi punti si mostra rigida e inefficace nel sostenere la narrazione: paradossalmente il dettato che si vuole trasparente per far spazio alla storia rimane davanti agli occhi come una spessa e fitta griglia a impedire la visione. Si provino, ad esempio, a leggere in parallelo gli assalti ultras in apertura di A viso coperto e ACAB, dove l’ottimo mestiere del cronista Bonini si nasconde\mostra in agile scrittura d’azione. Particolarmente deboli mi paiono i numerosissimi dialoghi. E qui il confronto più pertinente, e ingeneroso per il romanzo, è il racconto “Un pomeriggio allo Zini” di Andrea Cisi (in Ogni maledetta domenica, Minimum Fax, 2010), di grande virtuosismo nella resa dialogica e linguistica di una sottocultura.

Se dalla lingua passiamo alla strutturazione dei materiali notiamo già nelle fasi iniziali alcune giunture mal celate: l’alternanza tra azione e infodump sugli ultras è meccanica e lo stesso infodump è gestito con qualche difficoltà. Non ultima quella di essere presentato come bozza di libro scritto dal poliziotto, perché in A viso coperto c’è pure una mise en abyme o, se preferite, un’autofiction davvero inutile e dannosa.

Il romanzo si trascina per oltre cinquecento pagine con una vicenda minimale che viene allargata artificiosamente dalla “narrazione corale” – con virgolette, perché moltiplicare le linee narrative non significa moltiplicare i punti di vista. I personaggi, sopratutto i non poliziotti, sono figurine che a ogni pagina segnalano la loro funzione nella trama: l’ultras di sinistra con tanta rabbia dentro, quello cocainomane molto cattivo, quello giovane scalmanato, quello giovane meno scalmanato, la dolce ragazza, la moglie stanca ecc.. Ognuno rimane fisso nel suo ruolo e si avvia con convinzione verso la prevedibile fine (non voglio guastare la lettura, e quindi rimando senza spiegare alla conclusione, con le sorti collegate dell’ultras buono e di quello cocainomane nella loro finzione di destino).

A viso coperto offre, quasi senza modifiche, una sceneggiatura perfetta per una fiction Rai-Mediaset. La produzione non costerebbe molto perché le scene allo stadio sono infine due (e una di questa si svolge ai cancelli); soprattutto il grosso del romanzo con i suoi lunghi e immobili dialoghi a due o tre è pronto per il campo e controcampo e, nei momenti più “intensi e corali”, per la steadicam che gira intorno ai personaggi. Già per una fiction Sky sarebbe necessario un lavoro letterario di ricomposizione romanzesca.

Non vorrei che le critiche qui avanzate venissero lette come una feroce stroncatura. Il problema non sta nel talento narrativo di Gazzaniga, che sarebbe ingiusto negare o limitare, ma nelle ambizioni sbagliate del testo.  A viso coperto non rende la complessità del reale in forma di grande romanzo tradizionale e non è nemmeno un’efficace inchiesta o analisi sociologica, di agenti e ultras (anche per questo aspetto rimane dietro al pur imperfetto ACAB). È un romanzo completamente interno al genere “d’azione” e negarsi in principio a esso mi pare condannarlo sia come opera alta che come romanzo d’intrattenimento.

 

 

 

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http://www.minimaetmoralia.it/wp/a-viso-coperto-e-larena-dei-perdenti/

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