Merda, è James Joyce! penso, appena lo vedo spuntare sulla strada deserta.
Gli occhialini, i baffi, è proprio lui. Ho cercato la sua immagine su Google.
Gli altri mi hanno detto di imparare a riconoscerlo, per non farmi beccare. Solo che adesso è tardi, il Sergente è già in mezzo alla strada, sbucato fuori da dietro un cartello stradale. Stava nascosto lì, in attesa di un malcapitato da controllare.
Mi intima lo stop con la sua paletta rosso sangue. Indossa la divisa tutta nera della temutissima Polizia Letteraria.
Il Sergente Joyce è uno degli agenti più inflessibili, uno degli ostacoli più insuperabili.
Lo sanno tutti.
– Ah, ma chi abbiamo qui? Il signor Gazzaniga! – esordisce, passandosi un dito sui baffetti dopo aver infilato la paletta nel cinturone.
Io mi sento gelare.
– Ci siamo già incontrati? – provo a chiedere scherzando, ma lui non ride affatto.
– Ho una sua foto. Lei è nell’elenco delle persone da controllare.
– Oh… E per cosa?
– Devo verificare la sua Patente di Scrittore. Me la mostri subito.
– Scusi Sergente, temo di averla scordata a casa – rispondo.
Il Sergente Joyce scuote la testa e annota su un taccuino verde come i prati d’Irlanda.
Forse ci crede. Forse me la scampo.
– Comunque possiamo fare subito una verifica, anche qui sul posto. Bastano poche domande. Lei ha letto i miei libri, Gazzaniga?
Sbianco.
– Ecco Signore, mi perdoni, ma non voglio mentirle… Lo so che è una grave colpa. E non me ne vanto, sia chiaro. Ma no, io non li ho letti.
– Come sarebbe a dire, no? Tutti i Veri Scrittori Patentati devono averli letti! Cosa accidenti faceva lei a vent’anni?
– Beh, avevo appena iniziato a lavorare. Era il suo stesso lavoro.
– Intende dire che scriveva? Come si permette quest’insolenza?
– No, no! Non intendevo questo! Ero appena entrato in Polizia, stavo distante da casa, hai voglia a leggere i suoi libri: dovevo comporre un cubo con lenzuola e cuscino la sera e fare l’adunata alla mattina presto. Leggevo manuali di diritto penale.
– Che scusa sarebbe, questa? Poteva leggermi nei fine settimana!
– Ma era pesante, stare sempre in caserma. Giravo per Trieste, una splendida città, c’erano le raga… Cioè le piazze, ecco, c’erano le piazze, il Castello Miramare. Mi attiravano molto.
Joyce sembra colpito e, a questo punto, mi viene l’illuminazione. Da qualche recesso della mente riemerge un’informazione preziosa: il Sergente Joyce aveva rapporti con Italo Svevo, me lo aveva detto mia mamma, nel 1994, quando mi aiutava a preparare la maturità. Joyce era stato a Trieste!
Bingo.
– Mi piaceva Trieste anche perché avevo letto Svevo! “La coscienza di Zeno”, “Senilità”. Li adoravo!
Spero che il Sergente capisca che sto dicendo la verità. Joyce, però, mi guarda sospettoso.
– Non cerchi di adularmi, eh, Gazzaniga. Il mio amico Italo Svevo è una lettura importante, ma non basta a salvarla, questo è certo.
Annaspo, cerco di ragionare per imbastire una trattativa.
– Era quello che la scuola passava, Sergente: Svevo, Calvino, Manzoni –  spiego e mi sembra di andare bene. Ma quando aggiungo i nomi di Tabucchi e Fenoglio, lui si rabbuia di nuovo.
– Troppo poco. Non sono certo questi, i classici. E poi sono libri brevi, non pensi di sfangarla così a buon mercato.
Me lo hanno detto che è incazzoso, il Sergente Joyce.
Ragiona Gazza, ragiona.
– Pratolini, Verga, Pirandello, Levi – elenco, così a mitraglia che sembrano Zoff, Gentile, Oriali, Collovati, Scirea.
Il Sergente scuote la testa, la divisa nera mi agita ancora di più.
– Poe e Lovecraft?
– Mi faccia il piacere.
– Philip Roth? Forse un giorno gli daranno il Nobel!
– Mi prende in giro? Roth un classico? Ma se è ancora vivo!
– Dante! Sì, Dante l’ho letto per anni! Anche per conto mio, a volte! – esulto.
– Dante va bene – annota sul suo taccuino.
– Grazie. E poi Omero, Omero di brutto, nella traduzione del Monti. Iliade, Odissea, tutto quanto, “Cantami o diva del Pelide Achille…”.
Mi azzittisce con un cenno brusco.
– Tutta roba del Liceo, Gazzaniga. E all’Università?
– Scusi Signore, pensavo che lo avesse capito. Io…
– Cosa?
– Io non ho fatto l’Università, con il lavoro veniva male.
Il Sergente Joyce sgrana gli occhi sotto le lenti.
– Inaudito! Volere è potere, Caro Lei! Io ho studiato superando difficoltà ben peggiori delle sue. E Proust e Musil, li ha letti? – chiede a bruciapelo.
– Musil?
Joyce scuote la testa, cupo. E segna, segna ancora sul maledetto taccuino verde.
– I nostri informatori ci hanno segnalato che aveva iniziato “Moby Dick”, l’anno scorso. Però…
Mi metto le mani nei capelli.
– Avete ragione, è vero, l’ho abbandonato. Mi piaceva, ero entusiasta, poi quando ha iniziato l’elenco delle caratteristiche delle singole balene non ce l’ho più fatta. Avrei preferito essere divorato da uno squalo.
– Interrompere un classico è peggio che non averlo iniziato! Gazzaniga, io temo che dovrò comminarle una multa salata. E sequestrarle la penna.
– No, James, cazzo, la penna no!
Il Sergente stringe la mascella per l’indignazione.
– Come si permette? Non mi costringa a denunciarla anche per turpiloquio ed eccessiva confidenza con un Grande Scrittore.
Abbasso la voce.
– Sì, scusi, ha ragione. Guardi, la multa l’accetto, ma se lei mi toglie la penna, capisce, io non so come fare. Lei mi toglie la vita.
Lo sguardo di Joyce s’intenerisce.
– In effetti è una grave sanzione da infliggere. Lei è forse ignorante sui classici, ma sembra amare quello che fa.
– Anche i miei lettori ne soffrirebbero.
Joyce inarca il sopracciglio.
– Perchè, lei ha dei lettori?
– Sì, pare di sì. Comprano i libri e anche gli ebook e leggono pure cose dal mio sito.
– Sito?
– Niente, lasci perdere. Comunque mi leggono, Sergente. Lo giuro.
– Anche se va in giro senza la Patente di Scrittore?
Annuisco.
Joyce mi osserva indagatore, si stuzzica i baffi.
– Uhm, il nostro compito è anche tutelare i lettori. Dunque potrei chiudere un occhio. Ma la convoco per una revisione: deve presentarsi al Tribunale dei Veri Scrittori tra un anno, avendo letto almeno dieci grandi classici. Tenga, le lascio un elenco, che lei sembra non sapere dove sbattere la testa.
Mi allunga un foglio arrotolato, denso di nomi e io mi preparo a ripartire, il cuore che inizia a rallentare per lo scampato pericolo.
– Ma chi li ha scelti?
– Non faccia troppe domande! “Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”. Dovrebbe riconoscerlo, è Dante.
Non ribatto, basta, meglio chiuderla e fuggire via. Ma il Sergente Joyce ha ancora voglia di parlare.
– Le è andata bene, Gazzaniga, perché oggi sono di buon umore. E poi, a dirla tutta, abbiamo già eseguito troppi sequestri, negli ultimi giorni. Gli agenti russi sono molto solerti. Poi i giornalisti hanno sollevato un polverone, ultimamente, e piovono denunce di scrittori senza Patente. Per questo dobbiamo procedere solo nei casi gravissimi, altrimenti qui non scrive più nessuno. Lei si deve ritenere fortunato, mi creda.
– Grazie, davvero.
Il Sergente sembra più sereno. Forse salvare uno scrittore disperato lo ha ammansito.
– Gazzaniga, almeno lei è stato in Irlanda?
Io accendo e rimetto in moto, già pronto a partire. Ma azzardo un’ultima conversazione.
– No, l’Irlanda mi manca, Signore. Però sono stato in America, ho viaggiato fino alla casa di un altro grandissimo scrittore. Uno che mi ha cambiato la vita, quand’ero ragazzo. Ho scritto per imitarlo.
– Ah, sì? Bene! E chi sarebbe?
– Si chiama Stephen King! – urlo e innesto la prima fuggendo via, mentre faccio rombare al massimo la mia penna.
– Si fermi, Gazzaniga, si fermi! – sbraita Joyce dietro di me.
Ma io sto già correndo a tutta velocità, lungo l’autostrada dell’oblio letterario.

 

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