di Antonio Demontis

 

Ogni settimana ultrà che rivendicano «il diritto a tifare senza essere schedati, controllati o identificati» rivaleggiano nelle piazze, nelle strade e negli stadi contro quelli che considerano gli strumenti dell’«oppressione legalizzata», i poliziotti. Le tristi immagini dei loro scontri, ormai entrate da anni nel nostro immaginario collettivo, si sono imposte come stereotipi iconici della degenerazione del tifo da un lato, e della problematicità dell’azione repressiva dall’altro. Celerini e ultrà appaiono irriducibilmente separati in due poli antitetici, in due schieramenti nemici perfettamente distinti, ma indifferenziati al loro interno, che sembrano rappresentare la divisione dicotomica tra bene e male, tra ordine e caos, tra giustizia e illegalità. Ma la realtà è davvero così cristallizzata? Riccardo Gazzaniga, con il suo libro d’esordio A viso coperto, vincitore del Premio Calvino 2012, ci trascina dentro quel mondo fatto di rabbia e di violenza, e, con la lucidità del saggista e l’inventiva del romanziere, ci dimostra tutta la sua essenziale ambiguità.

Sullo sfondo di una Genova plumbea, ancora tormentata dai fantasmi del G8, si muovono un neonato gruppo ultrà desideroso di emergere nel panorama della curva genoana, e una squadra del Reparto Mobile impegnata in prima linea nella lotta al «teppismo calcistico». In undici freddi giorni di gennaio di un anno imprecisato, una serie di eventi drammatici farà sprofondare i due gruppi in una spirale di brutalità, che segnerà indelebilmente i loro destini.

Gazzaniga imbastisce un romanzo urbano che si dipana in tante direzioni quante sono le storie dei numerosi personaggi che si intrecciano nelle oltre 500 pagine che lo compongono. Le vite comuni di chi si nasconde dietro una sciarpa di una squadra di calcio o una visiera di un casco d’ordinanza, inquadrate in montaggio alternato, si rincorrono e si sfiorano, fin quasi a sovrapporsi. Le coppie oppositive, che mediano (non sempre efficacemente, per la verità) la complessa coralità di A viso coperto, descrivono due mondi diversi eppure sostanzialmente contigui: l’ultrà Lollo e il celerino Nicola, Ale e Gianluca, Lupo e Ferro soffrono, amano allo stesso modo, condividono lo spirito del clan che connota i rispettivi gruppi d’appartenenza, e, pagina dopo pagina, si rivelano in tutta la loro inaudita specularità.

Ma è nella concitata promiscuità e nella frenesia convulsa della battaglia, splendidamente descritte con una prosa dotata di una grande forza espressiva, che le differenze tendono veramente ad annullarsi: non più ultrà contro celerini, ma semplici uomini pervasi dalla paura, dall’eccitazione e dalla rabbia, che lottano istintivamente, assecondando quella voce interiore «che chiama la violenza senza sapere perché», per vivere, almeno un attimo, lontano dalla grigia quotidianità.

Il sovrintendente della Polizia Gazzaniga racconta tutto questo come mai nessuno aveva osato fare, cioè dall’interno, stando dentro quel mondo controverso, ancora travisato in prima linea sull’asfalto, in febbricitante attesa di un assalto o di una carica. Anche questi motivi tutti esterni al libro contribuiscono a rendere A viso coperto un’opera unica.

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