Thomas Sankara
C’è un grande eroe del secolo scorso che quasi nessuno conosce.
Forse perché ha la pelle nera, forse perché la sua storia riguarda un luogo remotissimo del mondo come il Burkina Faso, un altopiano di savane aride senza sbocchi al mare, per questo fa parte degli Stati del “quarto mondo”, poveri fra i poveri, privi di risorse tanto economiche quanto naturali.
Ma in quel mondo è vissuta una delle personalità più rilevanti del secolo scorso, perché Thomas Sankara è stato un grande eroe, oltre che un guerrigliero e un comandante militare.
Però un comandante anomalo, che sogna un esercito di soldati consapevoli che non si limitino a obbedire meccanicamente agli ordini.
«Quanti militari sono in giro in diversi campi di battaglia senza capire che stanno combattendo altri uomini e altre donne che lottano per gli stessi ideali? Senza una formazione e una preparazione politica, un soldato è un potenziale criminale.»
Nel 1976, a soli 27 anni, Thomas crea il Gruppo degli Ufficiali Comunisti insieme a un altro giovane militare al quale legherà in modo indissolubile e tragico la sua vita: Blaise Compaoré.Nel 1983 i due sovvertono il governo di Ouèdraogo con un colpo di Stato senza spargimenti di sangue e Sankara diventa presidente dell’Alto Volta.
Con l’amico Compaoré a fargli da vice, Thomas Sankara inizia il suo progetto di ristrutturazione del paese sulla base di un’ideologia comunista e libertaria.
Cambia il nome da Alto Volta in Burkina Faso che significa “la terra degli uomini integri”.
Avendo un passato da musicista, riscrive l’inno nazionale, intitolandolo Une seule nuit, “Una sola notte”.
In quattro anni di governo Thomas Sankara restituisce dignità al Burkina Faso e imprime un’enorme spinta propulsiva con riforme innovative e una ferma lotta alla corruzione.
Diventano leggendari il suo rifiuto di arricchirsi, che lo lascia spesso al limite della povertà, e l’inseparabile bicicletta: Sankara conduce la vita di un qualsiasi cittadino del Burkina Faso e pretende lo stesso dai suoi ministri, imponendo loro di viaggiare su macchine utilitarie e aerei di classe economica.
Nel cuore dell’Africa Thomas Sankara s’impegna a perseguire la parità fra uomo e donna, garantendo il lavoro femminile e combattendo il maschilismo. Cerca di inserire le ex prostitute nel mondo del lavoro, spinge i suoi cittadini a usare i preservativi per non contrarre l’AIDS, abolisce la poligamia e l’infibulazione, orrenda pratica tribale di mutilazione dei genitali femminili. Avvia enormi campagne di vaccinazione di massa che raggiungono due milioni e mezzo di bambini, lotta contro la desertificazione piantando milioni di alberi nel Sahel.
Impiega l’esercito e le caserme anche nella produzione agricola e industriale, favorisce le piccole imprese e le risorse locali per garantirsi autosufficienza alimentare e di risorse, opponendosi all’importazione. Il Burkina Faso inizia a produrre e, di conseguenza, si abbassano i prezzi della merce, che il popolo può finalmente acquistare: è il caso della carne, a lungo importata a prezzi impossibili, o del cotone.
«Dobbiamo produrre in Africa, trasformare le nostre materie prime in Africa e consumare in Africa.»
Thomas è un uomo che comprende la forza dell’esempio in un paese a bassissima alfabetizzazione: quando decide che lo Stato deve fornire l’argilla per costruire le case, va di persona nelle zone di lavoro, mettendosi simbolicamente a lavorare con i muratori; quando vuole incentivare la donazione di sangue, raggiunge i posti di prelievo e dona il suo.
Fa introdurre piante dentro gli uffici pubblici per renderli ambienti gioiosi e non grigi, lascia che i cittadini entrino alla radio nazionale, ogni mattina, per parlare liberamente al microfono facendo le loro proposte.
L’idea rivoluzionaria di Sankara non è quella di un paese livellato verso il basso, ma di un popolo africano che ambisca al benessere condiviso.
«La rivoluzione è anche vivere nell’opulenza, vivere nella felicità. Ma opulenza e felicità per tutti, non solo per qualcuno.» Sono parole commoventi e davvero rivoluzionarie, nella loro semplicità.
Il sogno di Sankara contagia l’intero Burkina Faso con la visione di un mondo più giusto in cui l’uomo africano non è un suddito povero dell’Occidente ricco, ma arbitro del proprio destino.
Per questo Sankara assume posizioni anti-imperialiste, denunciando il nuovo colonizzatore che non ha la bandiera di uno Stato in particolare, ma continua a depredare l’Africa: è il debito.
I paesi occidentali, con il pretesto di aiutare quelli poveri, forniscono investimenti, ma chiedono condizioni e interessi di prestito che gli Stati africani non possono rispettare. Così, per ripagare quel debito, i paesi africani tagliano le spese di istruzione e sanità, svendono le risorse del territorio, si costringono alla sopravvivenza.
I poveri diventano più poveri, i ricchi più ricchi, un circolo vizioso che si può rompere solo cancellando quel debito, richiesta che Sankara manifesta pubblicamente.
Sono posizioni inedite e radicali che rischiano di trascinare anche altri Stati africani e mettono Sankara in conflitto con il mondo occidentale, in particolare con gli Stati Uniti e la Francia, che lui accusa aspramente di aver fiancheggiato il presidente bianco del Sudafrica Pieter Willem Botha, sostenitore dell’apartheid.
Le sue posizioni rivoluzionarie e di rottura lo espongono ad attacchi interni nel paese e già nel 1984 viene sventato un tentativo di colpo di Stato per deporlo; le critiche all’imperialismo e al neocolonialismo lo isolano inesorabilmente anche dai paesi ricchi, che temo di non poter più depredare l’Africa liberamente.
Il 29 luglio del 1987 Sankara tiene un celeberrimo discorso all’Organizzazione dell’Unità Africana in cui dice:
«I debiti possono non essere pagati. Perché se noi non li rimborsiamo, i nostri finanziatori non moriranno. Al contrario, se noi pagassimo, i nostri paesi moriranno. Hanno giocato con noi come al casinò, hanno giocato e ora possono anche perdere».
Tutti lo applaudono, ma – in realtà ­– molti leader africani temono che Sankara danneggi le loro relazioni a occidente.
Thomas è in pericolo, viene scortato ovunque.
«A causa degli interessi che minaccio, a causa di quelli che certi ambienti chiamano il mio cattivo esempio, con l’aiuto di altri dirigenti pronti a vendersi la rivoluzione, potrei essere ammazzato da un momento all’altro. Ma i semi che abbiamo seminato in Burkina e nel mondo sono qui. Nessuno potrà mai estirparli. Germoglieranno e daranno frutti. Se mi ammazzano, arriveranno migliaia di nuovi Sankara!»
Le scorte in sua difesa possono proteggerlo da tante persone, ma non dall’uomo che è stato il suo migliore amico e più fedele compagno, quel Blaise Compaoré che negli anni si è trasformato in leader dell’opposizione a Sankara.
A poco più di due mesi dal discorso sul debito, la sera del 15 ottobre 1987 i due ex amici e compagni di armi e lotta arrivano al momento decisivo.
Non è chiaro cosa accada.
Sembra che stiano litigando e che Thomas accusi Blaise di aver tradito lui e gli ideali rivoluzionari.
Compaoré gli prende la pistola dalla cintura e gli spara al petto, uccidendolo.
Dapprima sosterrà di non averlo fatto, poi di aver sparato per errore.
Secondo un’altra versione, invece, Sankara viene ucciso a colpi di mitra da uomini di Compaoré, in un agguato premeditato.
Quale che sia il modo in cui muore questo eroe, il suo corpo subisce l’offesa che tocca a molti grandi guerrieri nella storia: viene fatto a pezzi e sepolto in una tomba senza nome, fuori dalla capitale Ouagadougou.
Sul certificato di morte si parla di “decesso per cause naturali”, come se le pallottole fossero una malattia. E forse lo sono, una malattia, una malattia terribile, nei luoghi più poveri del pianeta.
Compaoré non si limita a uccidere Sankara, distruggerne il corpo e occultarne la sepoltura, ma tenta anche di cancellarne la memoria: esercita un oblio formale e sostanziale, evitando sempre di pronunciare anche solo il nome, di Sankara. Giunge perfino a proclamare una festa nazionale proprio nel giorno della morte dell’ex amico.
Nel 2007, in occasione del ventennale della morte, temendo manifestazioni di dissenso Compaoré distribuisce soldi e donazioni per non far affluire la gente al cimitero di Dagnoen, dove si suppone siano sepolti alcuni resti di Thomas, eppure nemmeno questo basta, perché in tanti vanno ugualmente a celebrare il ricordo dell’eroe del Burkina Faso.
Gli uomini di Compaoré, dopo la ricorrenza, danneggiano la tomba di Sankara, ma quella tomba viene ricostruita ancora.
Quando infine, nel 2014, un’insurrezione popolare caccia Blaise Compaoré, nelle parole che la gente scrive sui muri e dipinge sui cartelli campeggia proprio quel nome che lui ha cercato invano di cancellare: Thomas Sankara.
In fondo proprio Sankara lo aveva anticipato, prima di morire: «Mentre i rivoluzionari in quanto individui possono essere uccisi, nessuno può uccidere le idee»
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La storia di Thomas Sankara, in forma più estesa, è inclusa nel mio libro “Come fiori che rompono l’asfalto – Venti storie di coraggio” (Rizzoli, 2020).
Il libro è reperibile in qualsiasi libreria fisica e sui principali store on line.



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