Da quando è uscito “A viso coperto” ho partecipato a ventisei presentazioni.

Obbedendo alle mie manie di controllo e catalogazione, mi sono annotato tutto: luogo dell’evento, relatori, presenza di pubblico, km macinati con la mia Opel Corsa, impressioni.

Potrei quindi raccontarvi con dovizia di particolari quanto sia emozionante incontrare di persona il pubblico, parlare del proprio libro, ascoltare domande, dare risposte. In effetti è davvero bellissimo, ma credo che altri ve l’abbiano già detto.

Io voglio mostrarvi il lato oscuro della luna e mettervi davanti al baratro in cui precipita l’esordiente dell’editoria.

Cominciamo dal continuo pericolo che può inseguire l’autore di un libro, manco fosse il sergente Brody di “Homeland”.

Nel mio caso ci sono quelli che odiano la Polizia e attaccano secchi: “Sbirretto genovese di merda! Vaffanculo! ACAB!”.

Poi gli anti-fannulloni: “Un poliziotto scrittore? Ma vai a lavorare”.

I truci: “Ti auguro di finire sotto terra”.

I superiori: “Sei un coglione”.

I concreti: “Hai raccontato episodi mai accaduti, nel tuo romanzo. Pagliaccio”.

I rancorosi: “Un macellaio che scrive di macelleria, un postino che scrive di poste, un poliziotto che scrive di Polizia. Questi non inventano nulla! Questa non è narrativa!”

I minacciosi: “Una presentazione in Abruzzo? Non ci provare. Ti aspetto”.

L’Abruzzo come Samarcanda: corri mia Opel, corri ti prego, corri come il vento che mi salverò.

Per ora sono vivo e mi sono goduto diversi momenti tragicomici.

Come quella sera in cui mi piazzarono la sedia vicino a una teca in vetro con dentro uno scheletro umano o quel pomeriggio in cui l’amplificatore prese vita e iniziò a trasmettere i dialoghi di una soap opera.

In una libreria mancavano le sedie per il pubblico e si sono presentati nell’ordine: nonna del 1925, zio con il braccio al collo, signora sovrappeso con sciatica e reumatismi.

Una domenica, invece, avrebbe dovuto presentarmi un noto giornalista televisivo. Uno molto figo, famosissimo in Rete.  “Sai che pubblico si porterà dietro? Sarà una bolgia!”.

Ma il figo non può venire: forse ha altri impegni, forse ha capito prima di me, da vecchio squalo dell’infotainment, le probabilità di successo dell’evento.

“Tranquillo, al suo posto ci sarà una tipa di La7!” dice fiducioso l’organizzatore. La fiducia, però, è mal riposta, perché la tipa di La7 si defila e al suo posto mi presenta lo stesso organizzatore, che nel frattempo si è quasi ubriacato per affrontare la “bolgia” di presenti: dieci.

Potrebbe sempre andare peggio, potrebbe piovere: e, infatti, piove.

I relatori hanno problemi diversi. Spesso vengono sopraffatti dal sadico piacere di rivelare dettagli che i lettori non vorrebbero sapere e gli scrittori non vorrebbero raccontare.

“Perché sì, diciamolo, X muore alla fine del libro!”.

Ma grazie amico mio! Come ho fatto a pensare che servissero 530 pagine per arrivare all’epilogo?

Anche i narcisi sono frequenti. Non sono lì a presentare il libro, ma sé stessi. Non vogliono raccontare l’autore, ma fare sfoggio della loro competenza.  “Riccardo, a quale corrente letteraria senti di appartenere? Perché secondo me ti ritrovi dentro l’italian epic”.

Mah, se lo dici tu.

Non mancano gli impreparati: “Abbiamo oggi ospite Roberto Cazzaniga, vincitore del Premio Campiello”. Mi è successo così spesso che temo di avere un gemello cattivo.

Molti relatori soffrono del terribile virus-letture: “Scusa ma almeno dodici brani dobbiamo proprio leggerli. Il pubblico è venuto per questo!”. Peccato che dopo tre pagine in cui le imprecazioni dei personaggi vengono declamate come poemi cavallereschi, il suddetto pubblico implori un martello per flagellarsi modello Tafazzi.

Ma alla fine è proprio lui, il pubblico, a regalare allo scrittore le soddisfazioni migliori.

Lo spettatore che ti cita dettagli che tu nemmeno ricordi e si inalbera: “Se non lo sa lei che lo ha scritto!”.

Quello che vuole svelare i complotti dell’editoria: “Tanto lo sanno tutti che quello vende milioni di copie, ma i libri glieli scrivono altri. Ce lo dica, su!”.

Perché il pubblico ha strane curiosità e può chiederti cosa pensi, nell’ordine: degli abusi della polizia turca, della Gronda di Ponente, del perché nessuno dice che Galliani pagò Lentini 4 milioni, facendo arrestare il presidente del Torino.

Nel pubblico le opinioni possono essere opposte:

“Sei troppo tenero con la Polizia” dice la militante.

“Sei troppo tenero con gli ultrà” dice il benpensante.

“Che tenero!” dice la seducente e trasforma la tua fidanzata in lupo mannaro.

A fine presentazione arriva il momento del firmacopie, dove l’italica allergia per le code esplode in tutta la sua potenza:  si va dal “Prima la mia copia! Ho mamma disabile che aspetta in macchina da un’ora” a “Non farmi stare in fila, che ero Carabiniere Ausiliario nel 1980”.

E poi, da ultimo, c’è lui: il lettore – scrittore.

Lo riconosci dallo sguardo fisso e febbrile con cui attende di parlarti. Ha sempre un libro, in mano, ma quel libro non è il tuo. 

Si tratta del SUO romanzo, tristemente ancora inedito. Ha atteso la fine, quando sei debole e la folla inizia a scemare, quando sei stanco e vorresti solo scolarti un bicchiere del prosecco che sta finendo o strappare una tartina dal vassoio su cui si sono avventate le cavallette e poi accasciarti stremato sulla sedia di una pizzeria.

Il Lettore-scrittore ti allunga l’oscuro oggetto dei (suoi) desideri fissandoti con sguardo allucinato.

“Ecco questa è una cosa che ho scritto io, la legga e poi mi faccia sapere cosa ne pensa”.

E tu, prima che estragga un’accetta e si trasformi in Jack Nicholson, fai un sorriso.

“Grazie, che gentile. Ora però mi scusi, devo scappare!” dici fuggendo da una porta laterale, assetato, affamato, braccato.

Ecco, tutto questo mi è accaduto in ventisei presentazioni e io le rifarei tutte, una per una, perché alla fine i momenti di emozione, orgoglio, gioia, divertimento hanno avuto ampiamente la meglio sugli imprevisti.

E vorrei ringraziare gli organizzatori più incasinati per avermi chiamato e anche i relatori più narcisi per avermi dedicato il loro tempo. E abbracciare ogni lettore venuto a sentirmi, anche quello che voleva saltare la fila o chiedermi di Gianluigi Lentini.

Però aspetto.

Aspetto che arrivi il giorno in cui qualcuno mi chiederà di passare al nemico. Di essere organizzatore, relatore o perfino ospite d’onore tra il pubblico, la sera che un esordiente dovrà presentare il suo romanzo.

Con un ghigno sadico, io accetterò.

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