Sono arrivato in Puglia, a Bari, alle 16 di una giornata torrida, dopo un surreale viaggio aereo.
Nell’ordine avevo incontrato: Rossella Brescia (bella, bellissima) il cantante Silvestre (gigantesco), un gruppo di orrendi rapper in ciabatte e calzini di marca, Marco Travaglio che strappava pagine da un quotidiano che leggeva, Andrea Scanzi. Tutti insieme, come in uno strano Truman Show.
All’aeroporto di Bari, però, anch’io sono stato subito avvicinato da alcuni fan.
– Scusa, possiamo fare una foto con te? – mi hanno chiesto – Ce lo fai un autografo?
– Ma siete sicuri di non sbagliare persona? – ho risposto perplesso.
– No, no, noi ti seguiamo!

– Grazie, che bella accoglienza!
Ho notato, a dire il vero, che questi miei fan erano piuttosto vaghi, circa il loro seguirmi, nel senso che non sembravano aspettare proprio me.  Solo che ero troppo ringalluzzito per quella inattesa accoglienza e ho firmato contento e fatto foto.
– Sono amici del Festival? – ho chiesto ingenuamente a Christian, il libraio venuto a prendermi.
– Ma va, figurati, questi stanno sempre qui. Aspettano tutti quelli che arrivano a Bari per un evento e si fanno le foto. Ormai li conosco uno per uno.
In pratica la mia celebrità era già finita, mentre raggiungevo Bitonto e venivo alloggiato in un palazzo d’epoca adibito a break and breakfast arredato in uno stile più adatto a un principe decaduto che a un viaggiatore di passaggio.

– Mi farò un giro – ho detto, suscitando lo stupore di Christian e, rapidamente, ho capito il perché.
Mi stavo avventurando fuori nella “controra”, avrei scoperto dopo. Questa strepitosa definizione indica quel momento del giorno in cui è inopportuno e insensato dedicarsi ad altre attività che non siano il riposo e il godimento della frescura della casa.
Così, nelle tre ore libere a mia disposizione ho girato per una Bitonto deserta, ma deserta davvero, nel senso che c’ero io, da solo a scattare foto con la canicola, osservato dai pochi occhi che incrociavo con un sospettoso stupore.
Ho trovato in giro solo qualche sparuto vecchietto, un gruppo di fedeli che dovevano assistere a un funerale nella Cattedrale e si sventagliavano furiosamente, qualche coraggioso in motorino senza casco (tra cui un padre con due figli tutti e 3 sul medesimo scooter e tutti e 3 senza casco), alcuni anziani con i visi impomatati e il ventilatore puntato addosso – fanculo ai reumatismi – che si facevano radere in una barberia. Fissavano a turno la piazza vuota, come nella scena di un film western.

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Sono stato fermato, mentre mi introducevo nella Galleria Nazionale di Puglia,  un museo che non sembrava un museo, perché la biglietteria non era indicata e il guardiano senza alcuna divisa o segno distintivo era perso dentro il suo enorme televisore a tubo catodico. Io lo avevo scambiato per un residente che si stesse rilassando.
– Lei, scusi, guardi che deve prendere il biglietto – mi ha apostrofato.
– Ah, non avevo visto. E quanto costa?
– Niente, ma lo deve prendere lo stesso.
Mi ha aperto le sale e acceso le luci di un museo perfettamente allestito, stupito che un visitatore si avventurasse in giro con quel clima tanto ostile. Così ho goduto da solo di quadri e statue e aria condizionata.

Ho camminato ancora, nelle quiete e pulite stradine di pietra del centro storico vuoto, e ho cercato di ripigliarmi con una granita deliziosa che faceva impallidire quella plasticosa e pessima bevuta il giorno prima, a Spotorno. Il prezzo di soli due euro, poi, aumentava la distanza dalla mia esosa Liguria.
Il resto del mondo pugliese, invece, era perso nella sua lunga siesta, con sottofondo di televisioni e finestre aperte su stanze in penombra.
La quiete si è conclusa tra le 18 e le 19, quando le persone hanno iniziato ad avventurarsi cautamente fuori di casa.
Un ragazzo in bici ha rischiato di investire una bimba la cui madre scapigliata è uscita dal nulla urlando (alla bimba) improperi in pugliese che – nonostante una certa mia facilità nel comprendere i dialetti di ogni parte d’Italia – mi sono risultati alquanto oscuri.
L’appuntamento per la presentazione al Festival “Del racconto, il film” era alle 19.30, nel paese di Giovinazzo.
C’erano da fare alcuni chilometri in auto e io, ansioso come al solito, volevo partire con anticipo.

– A che mi faccio trovare pronto? – ho chiesto a Christian.
– Alle 19.30.
– Ma non è l’ora a cui inizia la presentazione, nell’altro paese?
– Sì, Riccardo, ma qui in Puglia gli orari sono relativi… – mi ha spiegato con calma ed era vero.
Noi siamo partiti alle 20, abbiamo iniziato alle 20.30, un’ora dopo quanto previsto.
Intimamente già ribollivo di agitazione (oddio, saranno tutti lì ad aspettarmi! mi lanceranno i pomodori per il ritardo!) e invece la gente iniziava appena ad arrivare, bella tranquilla e con grande calma, mentre un tramonto meraviglioso si stagliava all’orizzonte di Giovinazzo.

 


Con la morsa di caldazza che non esitava a scemare abbiamo presentato “Non devi dirlo a nessuno” in una piazza dove le persone mangiavano all’aperto, per niente infastidite dal mio blaterare.  Da ligure mi sarei aspettato almeno un “belin, che palle, ma proprio il sabato sera vengan qui a parlare di libri, questi?” (ovviamente declinato nel corrispettivo pugliese). Invece nulla, nessuna lamentela.
Ho firmato copie, bevuto una birra con vecchi amici venuti da Bari a sentirmi (grazie!) e, infine, siamo andati a cena, il tutto SEMPRE sudando copiosamente.
Ci siamo seduti a mangiare intorno alle 23, un orario in cui se in Liguria ti azzardi a volerti sedere a un ristorante e farti cucinare un piatto ti espellono fisicamente dal locale, malmenandoti, dopo averti fatto pagare comunque il conto.
Non parliamo della coppia che è arrivata a mangiare alle 00.45, fantascienza pura.
Ancora adesso mi chiedo se non fosse un’allucinazione, come tutto questo mini viaggio.
Spero di tornare presto, Puglia!

 

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