È il 1984 quando il fotografo Steve McCurry si trova in Pakistan per documentare la crisi umanitaria seguita all’invasione sovietica in Afghanistan che ha causato migliaia di profughi nel paese confinante.
Nel villaggio di Nasir Bagh Mc Curry incontra alcune ragazze che frequentano una scuola e nella confusione, le grida, le corse, una di loro lo colpisce per il colore smeraldo dei suoi occhi.
“Aveva un’espressione intensa, tormentata e uno sguardo incredibilmente penetrante, eppure aveva solo dodici anni”.
McCurry ottiene il permesso di fotografarla nonostante la sua ritrosia. La ragazza è di fede musulmana e il fatto di essere ritratta da un uomo per di più con quello strano strumento che non ha mai visto – la macchina fotografica – la rende diffidente.
“Siccome era molto timida, pensai che se avessi fotografato prima le sue compagne avrebbe acconsentito più facilmente a farsi riprendere, per non sentirsi meno importante delle altre»
McCurry fa due scatti, il primo in cui la ragazza si copre il viso con un velo lasciando emergere solo gli occhi, il secondo in cui è a viso scoperto e guarda in camera.
“Dopo qualche minuto si alzò e si allontanò, ma per un istante tutto era stato perfetto, la luce, lo sfondo, l’espressione dei suoi occhi»
Il fotografo in realtà sceglie la prima foto, quella con il velo, per il National Geographic.
Ma quando al giornale vedono la seconda, quella che sarebbe lo scarto, saltano sulla sedia e ne colgono tutta la potenza. Gli occhi della ragazza bucano la foto rendendola unica.
“Ragazza afghana” diventerà uno scatto di fama mondiale che ancora emoziona a distanza di 30 anni, senza che Mc Curry conosca l’identità della dodicenne che ha fotografato.
Nel 2002 però il National Geographic finanzia una ricerca per ritrovare la ragazza.
McCurry raggiunge il campo dove ha scattato la foto, ma non trova la ragazza, mentre varie donne cercando una ricompensa economica si dichiarano lei.
Individua una di loro che potrebbe ricordare la sua modella, ma rapidamente si rende conto che non è la stessa persona.
Nel campo alcuni sostengono che la ragazza sia morta.
Poi, quasi per caso, i ricercatori incontrano un uomo che sostiene di essere il fratello della ragazza della foto e la fa contattare in una zona remota dell’Afghanistan.
Quando McCurry infine la raggiunge anche se tanto tempo è passato e l’ha cambiata, anche se è madre di tre figli, l’autore della foto ritrova negli occhi della ragazza divenuta donna la traccia di quel colore inimitabile.
Scopre che si chiama Sharbat Gula un nome che significa «ragazza fiore d’acqua dolce». Da quando ha 6 anni è orfana dei genitori, uccisi in un bombardamento.
McCurry le parla per poco, le racconta della foto, Sharbat si ricorda di lui e si vergogna dello scialle bruciato che si intravede nell’immagine, ma non riesce a cogliere pienamente il senso di quello che il fotografo le dice circa il successo della fotografia, un trionfo che riguarda il mondo fuori dal suo campo e lontano da guerre e povertà.
“Riviste, giornali, televisione non appartenevano al suo mondo. I suoi genitori erano stati uccisi e lei aveva vissuto una vita da reclusa; non aveva contatti con altre persone al di fuori del marito e dei figli, dei parenti acquisiti e di qualche amico di famiglia. Le sue reazioni mi sembrarono un misto di indifferenza e di imbarazzo, con un pizzico di curiosità e di sconcerto».
McCurry allora la fotografa di nuovo e, ancora, la foto va sulla copertina del National Geographic. Le persone scrivono al giornale offrendo doni e denaro per la ragazza, qualcuno perfino si candida per sposarla, anche se lei rimane ancora lì, in quel Pakistan dove è profuga da sempre.
Nel 2016 Sharbat, malata di epatite cronica, ritorna agli onori della cronaca, arrestata in Pakistan per il possesso di documenti illegali di cui si è munita per restare nel paese dove si è rifugiata 30 anni prima.
McCurry, appresa la notizia, si attiva per darne notizia al mondo e chiedere libertà per Sharbat.
“Non hanno arrestato una fotografia, hanno arrestato una donna disperata. Spero che guardando ancora una volta i suoi occhi la gente capisca che una vittima non può essere un criminale, che qualunque cosa abbia potuto fare ha solo cercato di sopravvivere. Come centinaia di migliaia di persone in fuga dalla morte, afgani, ma anche siriani, africani”.
La mobilitazione serve, la condanna è di pochi giorni con espulsione e rimpatrio in Afghanistan; stavolta, però, il paese natale di Sharbat è un rifugio per questa sua cittadina poverissima e insieme celeberrima.
Il Presidente del suo paese Ashraf Ghani le dona le chiavi di un appartamento, mentre un’attrice afghana le garantisce un sussidio finanziario e la possibilità di mandare a scuola i figli.
“Sono felice di aver dato il benvenuto a Sharbat Gula e alla sua famiglia – dice il presidente accogliendola -. La sua vita ci ispira tutti. Lei rappresenta tutte le donne coraggiose di questa nostra terra».
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La pagina ufficiale di Steve McCurry si trova qui: https://www.stevemccurry.com
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