Non ho avuto il piacere di ammirare Pelè come calciatore, dato che ho iniziato a seguire il pallone che lui aveva già smesso.
Dunque non avevo mai visto una partita con “O rey” quando Lui finalmente si materializzò per tutti noi bambini negli Ottanta nel celeberrimo “Fuga per la vittoria”.
In quel film Pelè recita la parte del fuoriclasse Luis Fernandez, uno dei prigionieri di guerra messi insieme dagli Alleati per una sfida calcistica contro una nazionale della Wermacht.
In realtà i prigionieri tramano la fuga dallo stadio nell’intervallo, ma quando riescono a segnare un gol ai fortissimi tedeschi, decidono di non scappare più e giocare per la vittoria, appunto, e per dare ancora speranza a tutte le persone vittime del regime.
In porta, per i prigionieri, c’è Sylvester Stallone, mentre la squadra è guidata dal carisma di Michael Caine.
Nel film, recitano altri veri campionissimi come Moore, Ardiles, Van Himst, ma la parte più rilevante è quella di Pelè/Fernandez che riesce a risultare intenso anche da “attore”, ma ha il suo momento iconico quando, a 4 minuti dalla fine, nonostante una costola rotta rimediata dai tedeschi che lo marcano cattivi, rientra in campo e su un cross di Moore salta in cielo in rovesciata e insacca il gol dell’isperato 4 a 4, mentre il pubblico inizia a contestare i gerarchi allo stadio urlando “Victoire” che è poi il titolo originale del film (“Victory”).
Si tratta di un momento che rimarrà impresso nella storia del cinema ben più della parata finale di Stallone (il quale, peraltro, avrebbe voluto segnare da portiere il gol vittoria dribblando tutti i tedeschi, cosa che giustamente non gli fu concessa su indicazione dello stesso Pelè che la riteneva calcisticamente impossibile).
Il gesto atletico di Pelè è meraviglioso, perfetto e ho letto che la scena sarebbe stata girata una volta sola: nonostante il regista del film John Huston fosse meticoloso e non esitasse a girare molti ciak, al primo tentativo Pelè produsse una rovesciata tale che lo stesso Houston e la troupe scattarono ad applaudirlo come fa il gerarca nazista interpretato da Max Von Sydow nel film.
La partita tra prigionieri e tedeschi, però, non è una completa invenzione.
Mi sono imbattuto in questa vicenda nelle ricerche per il mio ultimo libro su Adolf Eichmann e allora ve la racconto.
Nel 1942, in quella Kiev oggi vittima di un altro tragico conflitto e allora occupata dai nazisti, un panettiere ceco di nome Kordik, appassionato di sport, riconosce in un bar Nikolaj Trusevic, ex portiere della Dinamo Kiev, facilmente identificabile per una cicatrice sul viso.
Povero, smagrito e senza impiego, Trusevic è un ingegnere panificatore, ma da nemico del Reich può solo fare l’inserviente.
Kordik lo assume lo stesso e insieme a Trusevic prende contatto con altri ex calciatori e assume pure loro.§
Nasce così una squadra di calcio del panificio da mandare alle partite che a volte vengono organizzate dagli occupanti in città, per cui si contattano una serie di ex giocatori della Dinamo Kiev e della Lokomotyv Kiev.
Il team si chiama F.C. Start.
La voce si sparge e i tedeschi organizzano un torneo a 6 squadre: lo Start, 4 squadre delle truppe occupanti e una squadra di militari ucraini schierati in appoggio alla Germania (chi non lo faceva si arruolava con l’Armata Rossa o cercava di combattere il regime con attività clandestine).
Oltre al capitano Trusevic in porta, lo Start schiera Milahil Putistin vice campione dell’URSS nel 1936 e Makar Honcharenko, esterno d’attacco rapido e piccolissimo che tra il 1936 e il 39 ha segnato 30 gol in 70 partite con la Dinamo, laureandosi in un caso anche capocannoniere del torneo sovietico.
La divisa è rossa non è chiaro se per scelta casuale o politica o entrambe le cose. Trusevic, come ogni portiere dell’epoca, veste di nero, ma indossa richiami rossi sulla divisa.
Gli ucraini della Start non giocano da tempo, lavorano tutti e sono spesso poco nutriti, ma fanno ancora un altro sport: all’esordio battono 7 a 2 in una sorta di derby la squadra ucraina “collaborazionista” al grande stadio della Repubblica.
La cosa non piace all’organizzazione che decide di spostare la Start nel più piccolo stadio dello Zenit, dove la Start batte 6 -2 gli ungheresi e 11-0 le truppe alleate del Reich rumene.
Le vittorie dello Start, motivo di orgoglio e sostegno per la popolazione, continuano a raffica: 6-0 alla squadra tedesca, 5 a 1 a quella ungherese; con lo stesso risultato lo Start batte anche la più forte e temuta squadra militare tedesca stanziata in Ucraina, il Flakelf: 5 a 1.
Il Comando tedesco allora, per la rivincita, va a cercare fra i suoi uomini in tutto il paese i migliori calciatori disponibili per una sfida che viene pubblicizzata in tutta Kiev ed è passata alla storia come “La partita della morte”.
E qui la storia si confonde con la leggenda e pure con il film.
Ciò che è certo è che i tedeschi vanno in vantaggio, la Start ribalta il risultato e passa 3 a 1 con una doppietta di Honcharenko, due volte dalla distanza, poi incassa poi il pareggio.
Nel secondo tempo però la START segna ancora due volte e va sul 5 a 3.
Prima della fine il difensore Start Klimenko dribbla tutta la difesa, salta anche il portiere tedesco e però si ferma sulla linea, senza segnare, non è chiaro se per paura o per estremo gesto di dominio sull’avversario.
Tutto questo dovrebbe essere realmente accaduto.
Non sembra vero, invece, che il match sia stato giocato in uno stadio blindato da soldati tedeschi, con un arbitro che parteggiava per i tedeschi, che la partita fu scorretta in campo e che – prima e durante la partita – un ufficiale delle SS sia entrato nello spogliatoio per indurre la Start a perdere.
Secondo la leggenda il rifiuto di piegarsi sarebbe costato la morte a gran parte della squadra, una parte uccisa subito proprio allo stadio.
Questa in realtà è anche la versione della propaganda russa post bellica interessata a creare miti di resistenza.
In realtà la Partita della Morte fu una partita quasi normale, vinta dalla Start con maggiore fatica, con tanto di foto di gruppo tra rivali al termine dell’incontro e festeggiamenti dei vincitori.
Che alcuni di quei calciatori furono uccisi, però, è vero.
Kuzmenko, autore del primo gol, Klimenko autore del gesto che umiliò i tedeschi e Trusevich, portiere e capitano, morirono insieme il 24 febbraio 1943 a seguito di un rastrellamento.
Le cause non sono certe: potrebbero essere collegate all’impegno calcistico, ma un’ipotesi concreta è che avessero svolto attività antinazista se non attentato alla vita di alcuni soldati tedeschi mandando loro pane con dentro pezzi di vetro.
In prigionia sarebbero stati giustiziati per aver tentato un’insurrezione nel campo dove erano rinchiusi, rifiutando di uccidere altri compagni di detenzione.
Il che non toglie nulla alla loro gloria calcistica e di resistenti.
Anche il terzino Nikolai Korotkikh fu ucciso per aver collaborato con i russi contro il regime occupante.
Il resto della squadra, però, sopravvisse e due calciatori – estrema beffa – finirono nei gulag stalianiani come collaborazionisti.
A lungo visse invece la punta Honcharenko, autore della doppietta in quella celebre sfida.
Ma quei calciatori smagriti e affamati, ridotti a bestie da lavoro in un paese occupato riuscirono davvero a usare il calcio per dare speranza alla loro gente e mostrare, almeno per novanta minuti, una strada di riscatto e lotta.
In fondo credo che sia qui il collegamento di un film e una storia tanto epici con Pelè, l’uomo che in un paese povero e spesso dimenticato ha rappresentato una speranza per tanta gente, la possibilità di un futuro diverso e più felice che pareva invisibile per tante persone in difficoltà.
Non una partita della morte, dunque, ma una lunga partita della vita per un mito che neppure la morte sarà in grado di spegnere.
Come quello dei campioni dello Start.
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Ho scoperto questa storia scrivendo il mio ultimo romanzo, che è ambientato anche durante il Reich nazista ed è uscito per Rizzoli nel 2022.
Si chiama In forma di essere umano.