“Doveva essere un’allucinazione o un miraggio dovuto a qualche strano effetto ottico. Poteva esserci un uomo, laggiù, sul ghiaccio. Riteneva almeno tecnicamente possibile che indossasse un costume da clown ma non era credibile che i palloncini fossero inclinati verso di lui, controvento. Eppure, era così che li vedeva.
«Ben!» lo aveva chiamato il clown sul ghiaccio. Ben si era sforzato di convincersi che quella voce fosse solo nella sua testa, anche se la stava udendo con le orecchie. «Vuoi un palloncino?».”
In questi giorni tutti parlano di “IT”, romanzo di Stephen King che ha compiuto 30 anni e segnato in maniera indelebile non solo la sua carriera, ma anche l’immaginario collettivo.
Ma da dove nacque l’idea di questo libro?
Che cosa – anzi CHI – ispirò King nel creare il terribile pagliaccio Pennywise?
Proviamo a raccontarlo.
In realtà IT è più vecchio del 1986: fu scritto a Bangor, Maine, tra il settembre 1981 e il dicembre 1985.
IT è un ottimo romanzo, a mio avviso non il migliore di King per alcuni passaggi a vuoto che gli editor dovevano (e devono ancora) concedere a uno degli autori più venduti di sempre.
Inoltre, da lettore e fan di King, ho trovato comunque debole e confusa parte del finale.
IT, però, ha diversi momenti altissimi e il grande pregio di saper radunare una serie di temi che saranno classici nella narrativa di King: la forza soverchiante della memoria, l’incidenza dei traumi infantili, la potenza dell’amicizia e dell’amore, uniche armi da opporre al Male, il prezzo della violenza, specie sulle donne, la grettezza umana nascosta dietro le apparenze della tranquilla cittadina di Derry.
King ispira Derry direttamente a Bangor, capitale dello stato del Maine, città dove non è nato, ma in cui ha scelto di vivere e dove abita tuttora.
Gli piaceva perché rappresentava “una città operaia, che si spacca il culo. Non volevo andare a Portland, perché Portland è una specie di città hippie”.
(Se vi interessa, io sono stato a Bangor e l’ho raccontato nel post: un paccosos petto nel giardino di stephen King, ma oggi non parliamo di questo).
L’idea di IT, il Male che si nasconde in una piccola comunità, si rafforzò definitivamente nello scrittore in occasione dell’omicidio di Charlie Howard, ragazzo omosessuale che il 7 Luglio 1984, fu inseguito da tre “normalissimi” studenti delle superiori ancora minorenni, pestato e gettato nel fiume nonostante gridasse che non sapeva nuotare.
“C’era questa storia sui giornali, circa nel periodo in cui ci trasferimmo, a proposito di un giovane uomo che uscì dalla Jaguar Tavern durante la Fiera di Bangor. Era gay e alcuni tizi andarono a prenderlo in giro, poi la presa in giro scappò di mano e lo gettarono nel fiume e lo uccisero. E io pensai che era ciò di cui volevo scrivere”.
La storia di un posto tranquillo in cui il Male fosse possibile e dove la gente voltasse la testa da un’altra parte, lasciandolo crescere come un virus.
Non a caso uno dei primi omicidi di cui si racconta nel libro è proprio quello di un ragazzo gay gettato in un canale di Derry.
IT è un mostro che può assumere molti volti e prolifera sotto Derry-Bangor, in quei canali che sono come vene e portano sangue infetto al cuore malato della cittadina.
Parte dell’ispirazione per la creatura venne all’autore da una sera del 1978 quando King, camminando da solo al crepuscolo su un ponte di legno sopra un canale, sentì il lugubre rintocco dei suoi stivali sul legno e immaginò un essere mostruoso che, da sotto, dicesse la frase: “Chi tacchetta sul mio ponte?”.
Da allora l’idea di una creatura malefica che si muovesse tra acqua e fognature sarebbe rimasta annidata dentro di lui fino alla scrittura del libro.
IT, nel romanzo, assume molte facce, ma quella più nota e terribile è la maschera di Pennywise il clown.
In parte l’immagine che ispirò King fu il volto del pagliaccio Bozo, famosissimo negli anni quaranta e mascotte della Capitol Records.
Bozo, a sua volta, divenne un personaggio televisivo e contribuì a definire la figura del pagliaccio simbolo del McDonald, dal momento che, per interpretare alcuni spot della catena di fast food, fu assoldato un attore che aveva recitato proprio la parte di Bozo.
Ma – più ancora – sembra sia stata la tragica storia del killer John Wayne Gacy ad alimentare la fantasia di King e chiudere il cerchio di questo romanzo.
Gacy ammazzò 33 uomini, tra adolescenti e maschi adulti, tra il 1972 e il 1978.
Per la maggior parte le vittime erano giovanissimi dipendenti a contratto della sua ditta edile che l’assassino attirava in casa, seviziava e uccideva, seppellendoli o facendone sparire i corpi.
Gacy era un uomo di notevole intelligenza, imprenditore, laureato in Economia, democratico politicamente attivo, tanto da guadagnarsi una foto con dedica della First Lady.
Era bisessuale e soffriva di disturbi della personalità e della socialità, con tendenze sadiche con cui sfogava la sua omofobia repressa, stando alle ricostruzioni psicologiche successive.
Come lui stesso dichiarerà dopo l’arresto, quando iniziò a uccidere Gacy si rese conto di provare un orgasmo ineguagliabile: “Realizzai che la morte era l’emozione più grande”.
Da quel momento in avanti uccise sempre più spesso, nutrendosi delle morti come un vampiro via via più famelico.
Eppure il killer, per due volte sposato e separato, era anche un membro molto attivo e amato dalla comunità, dedito a opere di beneficenza e vicino insospettabile, nonostante precedenti penali legate a violenze a sfondo sessuale.
Le scomparse di giovani che avevano a che fare con lui furono tante e ripetute e quasi clamorose eppure, grazie all’immagine che Gacy si era costruito, ci vollero diversi anni prima che la polizia arrivasse agli orrori nascosti tra cantina e giardino.
Gacy partecipava a feste ed eventi di beneficenza per bimbi malati travestito come un pagliaccio di cui lui stesso aveva inventato e disegnato il costume e il nome, perfino: Pogo Il Clown.
Una volta arrestato e condannato a morte, Gacy fu autore di decine di quadri che raffiguravano il suo pagliaccio.
Molti dipinti vennero venduti per diverse migliaia di dollari: alcuni furono comprati dai parenti delle sue vittime e bruciati in un rogo pubblico.
Curioso pensare che Stephen King farà la stessa cosa, nel 1999. comprando il minivan che lo ha quasi investito e ucciso, per distruggerlo.
John Wayne Gacy rappresenta alla perfezione quel male capace di nascondersi dietro l’aspetto più inoffensivo, nel cuore di una piccola comunità e dietro gli abiti di un costume che fa ridere i bambini.
Ed è questo, forse, il nocciolo di IT e di tanti altri libri dello scrittore americano: l’esistenza di un Male insito negli uomini e su cui le forze oscure che lui immagina non fanno altro che esercitare la loro seducente leva per permettergli di scatenarsi.
“Il male è dentro di noi. Più invecchio e meno credo che ci sia qualche tipo di malefica influenza esterna: viene dalle persone. I mostri sono reali e anche i fantasmi. Vivono dentro di noi e, a volte, vincono loro”.
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