Non è passato molto tempo da quando Carlo Bonini, scrittore e giornalista di Repubblica, raccoglieva col suo ACAB (Einaudi, 2009) i frutti di un minuzioso lavoro d’inchiesta sui più importanti episodi di violenza urbana in Italia negli ultimi anni; un lavoro che si avvaleva della fortunata scelta di adottare come punto di osservazione quello ancora inedito degli uomini dei reparti mobili della Polizia di Stato.
Ora, a spingersi oltre in quella direzione, è Riccardo Gazzaniga col suo romanzo d’esordio, già vincitore del XXV Premio Calvino, dove l’autore, sovrintendente della Polizia di Stato presso la caserma di Bolzaneto, entra con la forza dell’esperienza diretta – seppur nella dissimulazione della propria biografia – nel terribile universo degli scontri fra ultrà e celerini.
Le vicende narrate coprono undici giorni di gennaio in una livida Genova, in cui ancora stride l’eco delle violenze del G8. Le vite di un gruppo di celerini e quelle di un gruppo di ultrà corrono parallele, faticosamente legate alle rispettive quotidianità, per incrociarsi nel cono d’ombra dello scontro e della violenza: uno spazio con leggi proprie, incomprensibili e inaccettabili per chi le osserva dall’esterno; uno spazio in cui sembra compiersi il destino ineluttabile di ogni poliziotto e ultrà. Tra le voci dei personaggi emerge distintamente quella del sovrintendente Nicola Vivaldi (vero alter ego dell’autore), diviso febbrilmente tra lavoro e scrittura; impegnato a ricercare un disperso senso della realtà e capire così, forse persino sociologicamente, le ragioni di quella violenza.
Un modo, il suo, per esprimere la cognizione di un nuovo senso di responsabilità e la vocazione a una condivisione della propria esperienza: “Nessuno aveva mai raccontato quel mondo dall’interno. Qualche ex collega ci aveva provato con scarso successo, e solo una volta lasciato il lavoro. Ma scrivere restandoci dentro era differente”.