Una felpa e una visiera per dare libero corso alla rabbia
«Scrivete solo di quello che conoscete», suggeriva Hemingway. Il consiglio, si sa, non va preso troppo alla lettera. Però quando funziona, funziona davvero. Riccardo Gazzaniga, 36 anni, vincitore del Calvino con questo primo romanzo (A viso coperto, Stile libero Einaudi, pp. 532, euro 19) conosce gli ultrà per esserseli trovati di fronte in mezzo al fumo dei lacrimogeni nelle vie di Genova e i celerini perché stava e sta da quella parte della barricata, di stanza nella caserma più tristemente famosa d’Italia, Bolzaneto. Su di loro, sui ragazzi che al momento di menare si coprono la faccia con sciarpe e fazzoletti e su quelli che ci calano sopra una visiera di plexigas, ha scritto un libro bellissimo e tragico, tosto come una manganellata dritta alla bocca dello stomaco, onesto sino alla
spietatezza.
Le guardie e gli ultrà condividono più di quanto non piacerebbe ammettere né agli uni né agli altri.
Spirito di corpo, frustrazione mal repressa, quel codice d’onore, machista e omertoso, che gli ultra definiscono «la mentalità» e che i loro nemici in divisa condividono, dipendenza dalla frustata di adrenalina che sferza ed esalta nell’azione e nel pericolo: il flash che esplode dentro quando la violenza scoppia tutto intorno.
A Genova il tifo è colorato più di rosso che di nero, ma in curva e negli scontri fascisti e ragazzi di sinistra si trovano fianco a fianco. Non combattono per la squadra ma per una rabbia che non sa trovare altra via di sfogo, e per difendere l’ultimo spazio di libertà rimastogli: un paio d’ore in curva.
Tra tutti i molti personaggi uno solo, Lollo, capo del gruppo guerriero che si sta formando, ha un passato militante e un progetto chiaro: combattere sugli spalti la stessa guerra iniziata nei giorni del G8, contro gli stessi nemici, per gli stessi motivi.
Nemmeno i celerini picchiano e rischiano per difendere la società: se proteggono qualcuno, è il collega che gli sta vicino. Più che alla sacralità della legge sono fedeli alla tribù. Negli scontri e con le botte scaricano la stessa rabbia che agita i duri della curva. Fanno banda.
Gazzaniga non fa un soldo di sconto agli ultrà, però ne fa ancora di meno alla sua gente. Il personaggio che nel libro è palesemente alter ego dell’autore, Nicola Vivaldi, lo ammette senza perifrasi: «Lui aveva provato a illudersi di essere un “professionista della sicurezza”, come ripetevano al ministero. Di “servire e proteggere”, come dicevano gli americani. Ma con il tempo si era convinto che Eleonora avesse ragione: i celerini, in fin dei conti, erano quelli che picchiavano la gente». Quelli che tirano i lacrimogeni ad altezza d’uomo, che manganellano in testa fino a rischiare di uccidere senz’altro motivo se non che a volte fermarsi è difficile, che mentono per coprirsi l’uno con l’altro.
In questo romanzo di buoni non ce ne sono, ma nemmeno di cattivi.
I tifosi hanno vite sfigate e nessuna prospettiva di futuro. In questo romanzo di buoni non ce ne sono, ma nemmeno di cattivi. I tifosi hanno vite sfigate e nessuna prospettiva di futuro. I poliziotti pure. Sono tutti pupi i cui fili sono in altre mani, calati in un palcoscenico di cui non hanno potuto scegliere nemmeno un particolare. Rabbia e violenza, come disperazione e depressione, sono i sintomi della malattia sociale provocata dall’assenza di potere, dal non contare niente oggi sapendo che le cose non cambieranno domani. Bisognerebbe andarci piano con i giudizi facili e le denunce morali un tanto al chilo.
Ma nessuno, né da una parte né dall’altra, è neppure all’altezza del mito spartano che accomuna i picchiatori in divisa e quelli in felpa e sciarpa. Messi alla prova, tutti si riveleranno molto più fragili di quel che credevano di essere. Faranno ciò che mai avrebbero pensato di poter fare, né avrebbero perdonato ad altri. Denunceranno, tradiranno, fuggiranno lasciando l’amico nei guai.
Però nemmeno in questo caso questo poliziotto-scrittore maturo come pochi si permette di giudicare, sentenziare e condannare, secondo la peggiore e più diffusa abitudine nazionale. Comprende la debolezza, tanto più quando mette all’improvviso le persone di fronte a una verità intima così diversa dall’immagine guerriera che avevano dipinto di se stessi, ai loro occhi prima che a quelli degli altri. Non è che si limiti a capirla e perdonarla. Quasi la riconosce come un momento di riscatto che, nella sua ignominia, vale più della maschera guerriera edificata a suon di mazzate e testosterone.
Fino a un certo punto, la sua storia è una versione da stadio del capolavoro di Walter Hill The Warriors, ma allargato sino a includere nella trama «gli elmetti», i poliziotti che per Hill restavano invece sempre anonimi. Poi, con una virata improvvisa, rovescia il gioco e diventa uno zoom sulla verità segreta celata dietro l’assetto bellico, la mitologia guerriera, il cameratismo.
Non è un discorso che valga solo per guardie e tifosi. A viso coperto è anche, forse è soprattutto, un libro sugli uomini, sui miti, i codici, la socialità e le fragilità profonde dei maschi. Sui maschi dice più di mille discorsi addottorati su machismo e differenza di genere, ma riesce a farlo senza pregiudizi di nessun tipo, senza ipocrisie da maschio femminista. Con la franchezza spietata ma non ostile di chi parla dell’universo maschile e del suo lato tenebroso senza fingere di non parteciparne o di disprezzarne
i connotati.
Di donne, tra i personaggi, ce ne sono molte, ma sempre e solo guardate e filtrate dallo sguardo dei maschi. Non sappiamo mai chi sono e cosa pensano: solo cosa significano, di volta in volta, per gli uomini e cosa gli uomini ne pensano. Wim Wenders, commentando molto tempo fa uno dei suoi primi e migliori film, nel corso del tempo, diceva: «Gli uomini stanno meglio tra uomini. Questo è un film sull’assenza della donna, e sulla necessità di colmarla». Parole più precise per descrivere il cuore del romanzo di Riccardo Gazzaniga, dietro il velo della trama velocissima e sotto lo strato giù più profondo dell’analisi di un fenomeno sociale che della società racconta non uno spicchio ma la complessività, non se ne potrebbero trovare.