In questi giorni di Olimpiadi Invernali, mi torna alla mente la storia pazzesca di Michael Edwards.
Eddie – così lo chiamano gli amici – a inizio degli anni Ottanta, è uno dei pochi atleti inglesi a praticare gli sport invernali.
In Inghilterra nevica molto poco e sono quasi assenti gli stabilimenti da sci.
Eddie è un buon atleta di discesa libera anche se non un fuoriclasse, entra nel piccolo giro della nazionale inglese, ma fallisce la qualificazione alle Olimpiadi del 1984.
Deluso Eddie ragiona sul suo futuro e realizza che l’Inghilterra non è il posto adatto alla sua passione per lo sci e si trasferisce a Lake Placid, negli USA, per provare a guadagnarsi la qualificazione a Calgary 1988.
Qui, però, si ritrova a corto di denaro, visto che la federazione non ha fondi e lo sci ha costi troppo alti per lui, figlio di operai.
Ma Eddie non vuole mollare il sogno e allora ha un’idea assurda: provarci con il salto dal trampolino, dove la sua nazione non ha nessun candidato e la qualificazione sarebbe meno dispendiosa e complicata.
Il guaio è che Eddie non è un saltatore.
Certo, è bravo con gli sci e nel suo passato ci sono alcuni salti in prove coreografiche: ha saltato file di auto e bus allineati, ma nulla più.
Eddie viene dalla discesa libera e, fisicamente, è troppo massiccio per saltare. E poi ci vede anche male: porta pesanti occhiali da vista sotto la maschera per il salto, con le lenti che si appannano durante le performance.
Non ha nemmeno l’attrezzatura necessaria, così si allena con scarponi di seconda mano dentro cui gli ballano i piedi e cerca di rimediare portando sei paia di calze.
Intanto, per campare, fa mille mestieri, inventandosi giardiniere, cuoco, babysitter, lavapavimenti.
C’è un altro problema: il salto con gli sci non è uno scherzo. Eddie si cimenta su trampolini da 70 metri e prova anche i 90 metri, rischiando di farsi male. Anzi, si fa male. Allenandosi si rompe la mascella, ma non va all’ospedale perché non ha soldi, dunque si auto-medica e gira con una federa da cuscino che gli tiene su la mandibola.
Sempre più al verde, si ritrova ad allenarsi in Finlandia, lavorando da imbianchino e vivendo in un ospedale psichiatrico al costo di una sterlina a notte.
Qui riceve la notizia di essere stato selezionato per le Olimpiadi di Calgary, primo inglese dal 1929 a cimentarsi nei salti.
In tutto Eddie si è allenato per due anni, arrivando a fare 60 salti al giorno e migliorando, piano, molto piano.
Quando arriva finalmente a Calgary usa un casco regalato dagli italiani e sci donati dagli austriaci e non solo gareggia nel trampolino di 70 metri, ma anche nel più pericoloso, quello di 90.
Eddie si lancia, affronta il vuoto e, mentre gli altri volano a planare, lui scende in più rapida picchiata.
Ma non cade e chiude le sue prove.
Arriva ultimo in entrambe, saltando 55 metri nel trampolino da 70 (contro gli 89.5 del vincitore) e 67 metri nel trampolino da 90, in pratica la metà del vincitore, che sfiora i 120 metri.
Eddie si attira odi e rancori da molti atleti, con l’accusa di averne offuscato la celebrità e le imprese sportive.
La federazione dei salti negli anni a venire imporrà una regola specifica affinché vi siano limiti più elevati per poter competere, ma la storia di Edwards è talmente stramba, unica e anche tenera che diventa virale in un’epoca in cui ancora non esistono internet e i social network.
Nasce un grande affetto del pubblico per quest’uomo che ha realizzato un sogno contro tutte le difficoltà e Frank King – presidente del comitato organizzatore – nel discorso di chiusura dei Giochi di Calgary riserva a Eddie una citazione speciale:
“Alcuni di voi hanno infranto record mondiali, altri hanno stabilito record personali. Altri si sono librati in volo come aquile”.
Da questo momento in poi Edwards sarà noto come “Eddie The Eagle”.
Nonostante una bancarotta economica e un ritorno al lavoro da muratore, Eddie supera le sue difficoltà grazie alla piccola celebrità mediatica conquistata, tenendo discorsi motivazionali, scrivendo un libro, inaugurando attività pubbliche e partecipando a reality show e programmi radiofonici, fedele al suo personaggio naif di uomo svagato e dalla risata contagiosa.
Nel 2007 ha donato il midollo osseo, salvando la sorella minore Liz, affetta da una grave malattia.
Nel 2010 Eddie è stato uno dei portatori della torcia olimpica per i Giochi di Vancouver.
Infine, nel 2016, la sua storia incredibile è diventata un film, consegnandolo per sempre alla storia olimpica.
Nel 2017 Eddie è tornato a Calgary e ha provato ancora a saltare, a 53 anni, dopo essere fermo da anni.
La folla lo ha acclamato, quando ha saltato sul trampolino dei 18 metri, dei 38 e dei 70.
Non pensava di osare di più.
Eddie, alla fine, è salito sul trampolino da 90 metri e ancora non era deciso.
“Meglio mollare finchè sono intero”.
Poi, però, ha guardato giù, ha visto la folla, ha sentito tutti gridare “Eddie, Eddie!” e, una volta ancora, l’aquila inglese ha spiegato le ali nel cielo del Canada.
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