Nel 1867, negli Stati Uniti, non esiste un vaccino contro la febbre gialla. Per questa epidemia, negli Stati Uniti, che la sarta quarantenne Mary Harris Jones perde suo marito George e tutti e quattro i figli.
«Uno dopo l’altro i miei quattro bambini si sono ammalati e sono morti. Sono rimasta seduta per notti intere di dolore. Nessuno è venuto da me. Nessuno poteva venire.»
Mary decide che porterà per sempre abiti di colore nero, per onorare il suo lutto, ma si impone di andare avanti. A Chicago apre un nuova sartoria, ma ancora con lei la sorte è matrigna e l’incendio del 1871 distrugge la sua sede di lavoro.
A questo punto, costretta di nuovo a ricominciare, decide di dedicarsi agli altri, agli ultimi.
Si iscrive ai Knights of Labour (“I cavalieri del lavoro”), un’organizzazione sindacale segreta che accoglie anche donne e persone nere e focalizza il suo interesse sui lavoratori poverissimi, sugli orari di lavoro ingiusti, sulla mancanza di assicurazioni per la perdita di impiego, sulla tutela della salute nella vecchiaia, sullo sfruttamento a basso costo dei lavoratori immigrati, fra cui tanti italiani.
Mary si occupa anche del lavoro minorile nelle fabbriche, nei mulini, nelle miniere, nella fabbriche tessili che lei ben conosce.
«Bambine e bambini, a piedi nudi, andavano e venivano tra interminabili fila di fusi, avvicinando alle macchine le manine scarne per riannodare i fili spezzati. Si rannicchiavano sotto le macchine per oliarle. Giorno e notte, notte e giorno, cambiavano i fusi. Bambini di sei anni dal volto di vecchi di sessanta, lavoravano otto ore al giorno per dieci centesimi. Quando si addormentavano, venivano risvegliati con acqua fredda in faccia.»
Si rivolge ai giornalisti, ma quelli non vogliono parlarne.
«Mi hanno detto che non possono, perché i proprietari delle fabbriche hanno delle quote nei giornali. Bene, io ho delle quote nelle vite di questi piccoli bambini e darò loro un po’ di visibilità.»
Nel luglio del 1903 Mary organizza una marcia di bambini-operai delle fabbriche e delle miniere di Kensington, in Pennsylvania, camminando tre settimane lungo le quasi cento miglia che li dividono da Oyster Bay, dove vive il presidente Roosevelt, per denunciare la disumanità della loro condizione, attirare l’attenzione mediatica, raccogliere fondi.
I bambini hanno cartelli in mano e gridano frasi come «Vogliamo giocare!» e «Vogliamo andare a scuola!».
Mary non ottiene udienza dal presidente e i giornali non scrivono delle manifestazioni; tuttavia, grazie al clamore che ha creato e alle migliaia di persone incontrate lungo la strada, le notizie si spargono ugualmente e la politica americana inizia a interrogarsi sul tema del lavoro minorile.
Da questo momento, per la sua attenzione ai ragazzi, diventa “Mother Jones”.
Il rapporto più forte lo stringe con i minatori, oppressi fra gli oppressi, sottopagati, soggetti a rischi altissimi di incidenti, morte, malattie.
Nel 1912 Mary è protagonista del tragico sciopero di Paint e Cabin Creek, che dura oltre un anno e causa cinquanta morti violente, senza contare i minatori uccisi dalla denutrizione e dalla fame.
I lavoratori chiedono diritti sindacali e uguale stipendio rispetto ai minatori di altre zone, ma la risposta dei padroni delle miniere è assoldare miliziani per rompere lo sciopero e cacciarli dalle loro case costringendoli ad accamparsi in tende, in un crescendo di violenze e disperazione.
Il conflitto arriva al punto che le milizie usano treni sui quali hanno montato armi automatiche e i minatori rispondono con i fucili.
In tutto questo, rischiando la sua stessa vita Mother Jones che ha ormai 75 anni, tiene comizi, va di persona nei campi tendati, diventa un punto di riferimento.
Viene arrestata e processata per aver incitato alla rivolta e con l’accusa di cospirazione per omicidio. Si parla di lei come della “donna più pericolosa d’America”.
Lei rifiuta ogni pentimento e, nonostante l’età, viene condannata a vent’anni di prigione e si ammala di una grave patologia polmonare.
Ma quando il cambio di governatore nella regione le permette di ottenere gli arresti domiciliari, Mother Jones riesce a mandare una lettera segreta al senatore John Worth Kern, sensibile ai problemi del lavoro, che la fa liberare e apre un’inchiesta sulle drammatiche condizioni di lavoro dei minatori che si allarga a più Stati del paese.
La vecchiaia e le precarie condizioni di salute farebbero pensare a un ritiro dalla scena, invece no, Mother Jones va in Colorado, dove il tasso di incidenti mortali fra minatori è altissimo e gli scioperi vedono protagonisti poverissimi italiani, greci, slavi, messicani che vengono cacciati dalle loro case e finiscono a sopravvivere in accampamenti dalle condizioni disumane.
A Ludlow, alle dieci del mattino del 20 aprile 1914, mentre alcuni minatori festeggiano Pasqua greco-ortodossa, una milizia privata circonda il loro accampamento e inizia a sparare coi mitra. I minatori reagiscono, ma finiscono le munizioni e la milizia entra nel campo, uccidendo i capi della protesta per poi incendiare le tende.
Tra la sparatoria e il rogo muoiono 25 persone, di cui 11 bambini.
Molti sono poverissimi italiani.
Mother Jones, a questo punto, vuole incontrare John Rockefeller Junior, miliardario titolare delle miniere del Colorado, ma viene allontanata dal suo palazzo.
Lei insiste, attaccando pubblicamente Rockefeller e continuando a chiedere di parlargli. I giornali la definiscono un’“eroina popolare” e la “donna più nota d’America”, alla fine Rockefeller è costretto a riceverla.
Il risultato è stupefacente: che sia per convenienza o per sincerità il miliardario i dice colpito dall’incontro e spende parole che nessuno si sarebbe aspettato.
«Ho scoperto che la sua mente è molto lucida. Mother Jones sa molte cose circa problemi che io non conosco. Le ho detto che ho compreso che è mio compito come direttore della compagnia di saperne di più. Ho creduto per principio che le cose di cui si lamentava fossero sbagliate. Ovviamente dovrebbero esserci libertà di parola e di riunione, negozi indipendenti e scuole pubbliche, nelle miniere. Ho scoperto che in tutto ciò che conta eravamo d’accordo.»
Mother Jones continua a lottare, pagandone in prima persona le conseguenze con ripetute inchieste, cause intentate contro di lei dai giornali e minacce fisiche.
Nel 1925 le entrano in casa sua due malviventi che in realtà non sono ladri, ma criminali mandati da un affarista che la vuole eliminare.
Mother Jones, 88 anni, imbraccia il fucile e ne uccide uno, costringendo l’altro alla fuga.
Mary Harris Jones muore a 93 anni, nel Maryland e viene sepolta nel cimitero di Mount Olive accanto ai minatori uccisi nel massacro di Virden del 1898, quelli che chiamava “i miei ragazzi”. Nel cimitero 15.000 minatori dell’Illinois con i loro risparmi fanno erigere in suo onore un gigantesco basamento in granito rosa con due minatori accanto a una stele con la sua immagine.
L’11 ottobre 1936, giorno della festa dei minatori, oltre 50.000 persone raggiungono in massa il cimitero per ammirare il monumento, dando inizio a quella celebrazione annuale che sarà il Mother Jones’s Day.
Ancora oggi le sue spoglie riposano nel cimitero di Mount Olive, anche se è bello immaginarla in quel posto di cui parlò durante un’intervista, quando le chiesero: «Lei dove vive, Mother Jones?».
«Ovunque ci sia da lottare.»
Questa storia, qui in forma ridotta, è inclusa nel mio libro “Come fiori che rompono l’asfalto – Venti storie di coraggio” (Rizzoli, 2020).
Il libro è reperibile in qualsiasi libreria fisica e sui principali store on line.