ll giorno in cui il tecnico rumeno Béla Károly vede Nadia Comaneci allenarsi in una scuola elementare dove è in cerca di talenti, non ha dubbi che debba diventare una sua atleta.
“Non conosceva la paura” racconterà anni dopo di quella bimba di sei anni capace di acrobazie incredibili per la sua età.
Con lo spirito tipico del regime filo-sovietico Károly inizia a far allenare Nadia in modo costante e durissimo.
Lei cresce e inizia rapidamente a vincere tutto, ovunque.
La agevola la sua statura di 1 metro e cinquanta e un peso che non arriva a 40 chili; la Comaneci è leggerissima, vola sugli attrezzi e segue una dieta ferrea imposta dal coach per non prendere peso. Nadia cambia la storia stessa della ginnastica: se prima le atlete avevo corpi più tondi con forme più femminili, lei è asciutta, senza seno e non sorride quasi mai.
“Un sorriso mi farebbe perdere qualche millimetro di equilibrio e rischierei una penalità” dirà in seguito Nadia, piccolo robot disegnato per vincere e portare gloria e medaglie alla Romania governata dal dittatore Niculae Ceausescu e dalla moglie Elena.
Lo stato rumeno fa parte dei paesi del blocco comunista del Patto di Varsavia protetti e dominati dall’URSS e dal suo esercito. Il paese è poverissimo, arretrato, spesso affamato, mentre Ceausescu lo governa disegnando un prototipo perfetto di tiranno quanto Nadia lo è di ginnasta.
Ceausescu è un ammiratore dei regimi di Cina e Corea, ha instaurato nel paese un pesantissimo culto delle personalità, vive in ricchezza mentre il suo popolo soffre la povertà, porta uno scettro come un re, si fa chiamare “Conduttore” e “Genio dei Carpazi”, ha una polizia segreta molto dura e una massiccia produzione di armi. Al tempo stesso, nell’assurdità della sua visione, pensa di poter ambire al Nobel per la pace e scrive testi che inneggiano alla fratellanza, cerca di accreditarsi come mediatore politico fra oriente e occidente.
Nadia diventa l’arma perfetta per Ceausescu, la campionessa dello sport che fa sventolare la bandiera rumena in tutto il mondo, ragazzina minuscola che mette sulla cartina un paese che gran parte del mondo non conosce.
Nadia inizia a vincere ovunque e porta la sua ginnastica in occidente.
Nel 1976, vincendo in un meeting al Madison Square Garden, conosce un ginnasta americano, il biondo diciottenne Bart Conner.
Li fotografano insieme mentre lui le bacia la guancia, ma è solo a beneficio del pubblico. Conner non è altro che un bel ragazzo biondo del mondo occidentale con cui non può avere contatti, non ha tempo di accorgersi di come lui la osservi e la percepisca, dimenticandolo.
Nel 1976, a Montreal, Bart finisce solo 46esimo, mentre Nadia, prodigio di 14 anni, segna la storia con un’esibizione mai vista prima alle parallele asimmetriche.
Quando finisce il suo esercizio sui tabellino si accende il voto 1.
Nessuno capisce come sia possibile, per quell’esercizio meraviglioso. Ma quell’1 è il solo modo in cui la giuria può esprimere il 10, visto che la numerazione digitale arriva solo a 9.99 ma non contempla la perfezione.
Nadia Comaneci è questo, la perfezione.
Alle stesse Olimpiadi Nadia prende il 10 altre 6 volte e vince tre ori (concorso generale individuale, trave e parallele asimmetriche), un argento a squadre e un bronzo nel corpo libero.
Tornata in patria Nadia è un’eroina nazionale e Ceausescu le conferisce il titolo di “Eroe del lavoro socialista”.
Purtroppo qualcun altro ha notato Nadia e non è Bart Conner.
Si tratta di Nicu, il figlio prediletto del dittatore e della moglie, un uomo violento, famoso per come molesta le donne in ogni circostanza, un farabutto che organizza feste in cui costringe a partecipare le figlie di gerarchi del regime rumeno per passare con loro le notti.
Nadia viene di fatto obbligata a diventare l’amante di Nicu e inizia con lui una relazione terribile in cui subisce violenze fisiche e psicologiche.
Dopo altre vittorie ed europee e mondiali la perfetta Comaneci scivola nel buio del dolore e cerca allora di fuggire da tutto, dallo sport, da Nicu e dalla vita. Prima lo fa abusando di cibo e ingrassando, poi arriva cercare il suicidio bevendo Candeggina.
Si salva, il regime occulta tutto e lei deve tornare a fare lo splendido robot, fatica, dimagrisce, torna a vincere ancora alle Olimpiadi del 1980 nonostante adesso sia più alta e più formosa.
Il regime, ormai, la controlla costantemente, temendo che fugga in Occidente come ha fatto il suo allenatore Karoly.
Nadia smette di gareggiare e diventa allenatrice, pensa alla fuga anche lei, a scappare dalla Romania, ma non trova nessuno ad aiutarla e nemmeno il coraggio.
Ma, nel 1989, i regimi comunisti vacillano.
L’URSS di Mikalil Gorbaciov avvia la “perestrojka”, un processo di riforme e progressiva democratizzazione, aprendo all’autodeterminazione della nazioni del blocco sovietico. Senza la forza militare di Gorbaciov i dittatori locali si ritrovano fantocci senza più la possibilità di imporre il loro giogo, gli eroi del regime cadono.
Un giorno, su un autobus, la Comaneci viene fermata senza biglietto e un controllore vuole farle la multa.
Lei dice “Ma io sono Nadia!” come se quel nome bastasse a salvarla, ma l’uomo inizia a scrivere ugualmente la contravvenzione e solo l’intervento di una collega lo fa desistere.
È in quel momento preciso che Nadia capisce di non essere più nulla, ora che lo sport e la gloria sono finiti non le è rimasto altro da fare che riprendersi la sua vita.
E così, una notte del 1989, Nadia Comaneci, da sola, si avvia a piedi verso il confine con l’Ungheria.
Lei abituata a volteggiare nella luce, cammina al buio, per sei ore, fino a quando, in un punto non vigilato, passa il confine e sale sull’auto di un amico che l’attende dall’altra parte del confine.
Raggiunge gli Stati Uniti e chiede asilo politico.
Pochi mesi dopo la popolazione rumena insorge contro Ceasescu. Il dittatore tenta la fuga in elicottero, ma non ci riesce. Costretto a scappare nei campi viene arrestato, condannato a morte con un processo sommario di qualche minuto e giustiziato insieme alla moglie.
Suo figlio Nicu, che doveva esserne l’erede, l’uomo violento che abusava di tutte le donne che gli capitavano a tiro, morirà in completa povertà dopo anni di galera, per le conseguenze del suo abuso di alcolici.
Eppure, anche nel mondo libero che dovrebbe rappresentare la salvezza, Nadia non ha vita facile e il suo salvatore diventa presto una sorta di aguzzino che la invischia in una relazione disastrosa.
Un giorno, in uno studio televisivo, una Comaneci allo stremo delle forze incontra di nuovo Bart Conner, il ginnasta americano conosciuto tanti anni prima a New York; anche Bart ha avuto anche lui una gloriosa carriera di trionfi e vinto le Olimpiadi del 1984.
Bart ha saputo della presenza di Nadia in trasmissione e si è fatto invitare per poterla rivedere.
Lei non ricorda di lui, ma Bart le mostra una foto del suo bacio per i fotografi di quasi vent’anni prima, nel 1976.
La Comaneci, toccata dalla sensibilità di Conner, in una pausa della trasmissione si trova a confessargli le sue difficoltà personali e lui l’aiuta a liberarsi della relazione che la intossica; diventano amici e, per quattro anni, lavorano insieme gestendo una scuola di ginnastica statunitense, mentre lei ricostruisce la sua esistenza.
Solo nel 1994 Nadia e Bart, finalmente, si fidanzano.
Nel 1996 Nadia e Bart si sposeranno a Bucarest in diretta televisiva davanti a 1.500 persone e altre 10.000 in attesa nelle strade della capitale.
Ancora oggi sono uniti in matrimonio, sono genitori e gestiscono insieme la loro celeberrima accademia di ginnastica.