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Chi scrive, recita, canta, usa le parole per amore e per lavoro. Ma le usa anche come arma, come sfogo, come terapia.
Dopo il crollo di Ponte Morandi io ho scritto molte cose, per raccontare le nostre sensazioni qui, a pochi metri dal cataclisma.
Uno di quei pezzi raccontava una storia poco nota persino a Genova: dove oggi ci sono le rovine di Ponte Morandi un tempo c’era stato il primo campo di calcio della prima squadra italiana, il Genoa. Non solo, quel campo era divenuto poi il campo della Sampierdarenese da cui sarebbe nata l’altra grande squadra cittadina, la Sampdoria. Un luogo comune per due storie così differenti e così vicine, come nell’immagine dei tifosi con maglie diverse abbracciati sotto il ponte.
Eppure quel campo non esisteva più, fagocitato da palazzi e ponti e nemmeno ne esisteva traccia. Gli stessi abitanti della zona lo avevano dimenticato.
Il mio scritto auspicava che qualcosa, di quel glorioso passato, potesse rivivere in una zona che ha tanto sofferto negli anni come quella fra Sampierdarena e Rivarolo, dove io sono nato e vivo.
Le parole, a volte, restano tali.
In altri casi, però, possono prendere vita e far succedere cose, specie se incontrano persone che hanno il dono di tradurle in azioni.
Succede allora che quel mio breve testo colpisce al cuore una persona, un uomo che conosco da alcuni mesi ma sento già amico, un tipo che si chiama Ugo Rota ed è genovese come me, anche se Ugo è un genovese anomalo che sorride molto, ama la parole, nei libri e nei discorsi dove è sempre preso a raccontarti una storia.
Ma – e questo invece è molto genovese – Ugo ama pure la concretezza; non a caso è stato uno dei fondatori e membri di OccupyAlbaro, gruppo di persone che da tempo si spendono in iniziative sociali e benefiche per Genova.
Ugo ragiona su quel testo e sull’idea di trasformare un luogo divenuto simbolo di lutto in un posto che racchiuda condivisione e ricordi di un passato comune.
Pochi giorni dopo aver letto il mio scritto Ugo riceve una telefonata speciale: Paolo Kessisoglu, suo vecchio e celeberrimo amico, lo chiama e gli dice che ha scritto una canzone per Genova. L’ha composta a San Francisco, dove si trovava quando aveva appreso della tragedia. Il giorno del crollo si è messo al pianoforte e ha buttato fuori ciò che sentiva.
Anche lui, il 14 di Agosto, si è sfogato usando le parole e la sua arte.
Ma Paolo dice a Ugo che la canzone non gli basta: vuole farne qualcosa di concreto e, per questo, ha bisogno del suo aiuto.
Insieme al gruppo di Occupy Albaro, Paolo e Ugo cominciano allora sia a cercare il sostegno di istituzioni e sponsor che a lavorare al progetto artistico successivo, quello di trasformare la canzone di Paolo in un lavoro che possa avere la massima visibilità e coinvolgere i grandi nomi della musica italiana.
Le azioni diventano fatti e creano un pezzo prodotto da Sony e registrato insieme ai tanti amici di Paolo che accettano l’invito a cantarlo, artisti come Fiorella Mannoia, Gino Paoli, Ivano Fossati, Gianni Morandi, Giorgia, Malika Ayane, Giuliano Sangiorgi, Nek, Ron, J Ax e tanti altri, mixando stili ed emozioni diverse.

Il pezzo trova il suo titolo perfetto e si chiama “C’è da fare”.
Parla di Genova, delle sue contraddizioni e di quel momento in cui bisogna agire, oltre che parlare.Ora le azioni sono diventati un oggetto tangibile e reali, visto che il disco è finalmente uscito nei negozi: costa 5 euro e il ricavato delle vendite servirà a raccogliere i fondi per provare a realizzare il sogno di rilanciare questa valle, di salvarla da anni di sofferenze e dimenticanze, ridandole qualcosa di quanto l’incuria, la speculazione edilizia, la scarsa memoria le hanno tolto.
Potrebbe essere – com ha raccontato Ugo Rota in conferenza stampa, emozionandomi – che l’obiettivo sia proprio la creazione di quel luogo di sport e memoria che io auspicavo nel mio pezzo a ricordo di un campetto da cui iniziarono due storie sportive molto gloriose.
Certo, dipenderà dai risultati, dagli incassi, dalle possibilità che magari porteranno su strade diverse e positive lo stesso.
Ma io so per certo che qualcosa accadrà e non ci sono parole più belle di quelle che non sono sterili e fini a sé stesse, che non cercano facile consenso o perseguono un obiettivo puramente personale, ma generano unioni e rapporti, condivisione e fatti.
“C’è da fare” si può comprare ovunque: nei negozi reali, su IBS e ovviamente anche ascoltare in streaming.
Io uso le mie parole, ancora, per chiedervi di comprare il disco o comunque ascoltare il pezzo, farlo girare, condividere questo articolo o altri simili che ne parlano.
Si tratta di una buona causa, la spesa è piccina, i nomi coinvolti grandi e le parole semplici e dirette.
Forza, che qui abbiamo tanto da fare.

“E allora vieni qui
togliti quel muso
e fatti abbracciare
sto vento freddo che soffia
ti voglio scaldare
sei sempre la stessa
ma se stavi male
me lo potevi dire
ma adesso basta parlare
c’è da fare”.

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