Violenza bifronte

Di Francesco Pettinari

 

Vincitore del Premio Calvino 2012, pubblicato da “Stile Libero” Einaudi, “A viso coperto” di Riccardo Gazzaniga è uno di quei romanzi che trascendono le aspettative del lettore quando si appresta a leggere un esordio: colpisce la qualità dell’insieme, dal contenuto sorprendente a un’operazione stilistica che rivela un livello di consapevolezza e una capacità di scrittura da autore navigato.

Il tema del romanzo è il tifo violento che spesso prende la forma di teppismo calcistico. Da quando i media hanno amplificato i fatti di cronaca, la violenza degli ultrà si è depositata nell’immaginario collettivo in scene difficilmente rimovibili, come quelle legate alla finale della Coppa dei Campioni tra Juventus e Liverpool, giocata a Bruxelles il 29 maggio 1985: trentanove morti, di cui trentadue italiani, seicento feriti.

Come si fa a raccontare cosa accade nel momento in cui si fronteggiano ultrà e celerini, due schieramenti opposti pronti a scaricare l’uno sull’altro una violenza tale che spesso provoca morti e feriti gravi? Gazzaniga è sovrintendente della polizia, lavora nella caserma di Bolzaneto a Genova, quella coinvolta nei fatti del G8 (la morte di Carlo Giuliani è evocata più volte nel romanzo); e si può ben dire che ha trovato nella propria esperienza di vita l’arma vincente per scrivere questo romanzo: raccontare un mondo dall’interno.

Il merito principale del romanzo è proprio la portata di verità che offre al lettore, benché si tratti di un’opera di finzione a tutti gli effetti. Di fronte al dilagare di tanti io ipertrofici che infestano la letteratura contemporanea, Gazzaniga fa una scelta radicalmente opposta: quella che omaggia la molteplicità di Calvino, quella del pluralismo dei punti di vista, quella che riesce a convincere il lettore che non esiste una verità, ma tante verità, anche su una materia tanto scomoda. Non solo: Gazzaniga, per prendere le distanze dal proprio io, crea un alter ego di se stesso, il sovrintendente Nicola Vivaldi, anche lui alle prese con la stesura di un romanzo sulla propria esperienza legata alla violenza degli stadi, un tentativo che nella trama si rivela fallimentare, mentre l’autore reale la sfida la vince eccome, riuscendo a rendere molto di più dell’idea del fenomeno.

L’altro grande pregio di questo romanzo è l’imparzialità, la stessa che attesta la bellissima fotografia della copertina: con lo stesso passo, Gazzaniga dà voce a una moltitudine di personaggi, sia poliziotti sia esponenti degli ultrà, tutti credibili, tutti sviluppati con la stessa coerenza e lo stesso distacco, tutti che fanno pensare a un modello reale. La pluralità dei personaggi è utile per la rappresentazione della varie tipologie di carattere presenti nei due gruppi, da quelle più scontate a quelle che non ci si aspetterebbe, raggiungendo risvolti che mettono in luce un’umanità che regala emozioni autentiche e, per questo, forti; ma la pluralità è altresì la ragione della notevole estensione del romanzo: sul piano temporale la trama si sviluppa in una manciata di giornate, mentre il testo si espande in un affresco epico che apre ogni momento temporale del racconto a tranches de vie di ciascun personaggio.

Il linguaggio è un altro punto a favore dell’efficacia del romanzo: anche la lingua è quella che deriva dal vissuto dell’autore, la lingua viva che rende realistico il racconto; il risultato fa venire in mente la definizione che Céline ha coniato per definire il carattere dominante delle proprie opere: l’émotion du langage parlé à travers l’écrit.

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