“Può capitare che qualche studente, imbattendosi nel suo nome, si chieda indolente chi fosse, ma di rado la curiosità si spinge oltre la semplice domanda occasionale. I colleghi di Stoner, che da vivo non l’avevano mai stimato gran che, oggi ne parlano raramente; per i più vecchi il suo nome è il monito della fine che li attende tutti, per i più giovani è soltanto un suono, che non evoca alcun passato o identità particolare cui associare loro stessi o le loro carriere”.
Stoner, di Williams è un romanzo dalla stranissima storia (editoriale). Pubblicato negli anni ’60 negli Stati Uniti, passa quasi inosservato e vende solo 2.000 copie. Lo stesso autore, che pure si toglierà in carriera diverse soddisfazioni specie con il libro “Augustus” lo ritiene un libro non facilmente spendibile.
Stoner è stato riscoperto pochi anni fa trovando una postuma consacrazione che lo ha portato al milione di copie, prevalentemente in Europa. In America rimane un libro che fatica, secondo alcuni per la quasi assenza di trama: un ragazzo, nato da famiglia contadina, trova nella letteratura una via per lasciare il suo destino famigliare. Diventa insegnante, sposa una donna che non ama e da cui non è amato, si infila in una disputa accademica piccola eppure terribile, ritrova l’amore in qualche modo senza dirvi come va a finire.
Il libro sta qui, nella vicenda di un uomo tutto sommato mediocre o forse eroicamente disposto a sopportare le conseguenze di scelte mediocri ma anche di errori coraggiosi.
Come gli americani anche io amo i libri di trama, in cui accadono cose, ma questo mio mantra viene vinto da quei libri che riescono, anche su trame scarne, a mantenere la tensione narrativa e “Stoner” lo fa, percepisci una tensione di fondo come quella di una corda sul punto di spezzarsi.
Per certi versi ho ripensato a Roth, per l’ambientazione accademica di “La Macchia Umana” e la saga costruita intorno a una singola vita di “Pastorale Americana”, ma qui manca il gusto per il disvelamento che Roth mantiene forte e la prosa di Williams – che è di alto livello – è piana, lineare, non ha la ricchezza e i cambi di ritmo e punto di vista che rendono Roth un marziano, ma ci vedo una comunanza nel tono e nella profondità di analisi dell’animo e delle scelte umane.
Un libro strano, denso e capace di invischiarti nella storia di quest’uomo che attraversa la vita come meglio può, in fondo quello che cerchiamo di fare tutti noi.