Gatti

La prima volta che vedono un gatto, poco meno di tremila anni fa, i greci rimangono estasiati: sembra la soluzione perfetta all’annoso problema dei topi che mangiano il grano e danneggiano un’economia totalmente. I topi venivano eliminati usando donnole, faine e puzzole, animali selvatici, fastidiosi, spesso maleodoranti.
Invece questo strano e nuovo animaletto che gli egizi si portano dietro e chiamano “Mau” sia per il suo verso sia perché la parola Mau rimanda al vedere e gli egizi credono che il gatto, capace di vedere al buio, possa vedere anche oltre la vita, nel regno delle tenebre.
Il MAU non puzza, si deterge ogni giorno, non è aggressivo con gli uomini, quando non caccia dorme pacifico ed è anche molto elegante da vedere.
I greci se ne innamorano e vorrebbero comprarsi subito qualche Mau ma non riescono, perché gli egizi vendono un animale che considerano un’emanazione divina al punto che la dea Egizia della Fertilità Bastet ha un viso di gatto. Per questo ogni gatto viene sepolto con cerimonie di stato e mummificano gli esemplari per conservarli in apposite necropoli.
Sulla mummia dipingono persino il viso del gatto deceduto e la morte di un gatto è un lutto per la famiglia, tanto che le persone si rasano le sopracciglia in segno di cordoglio.
Dal 1000 a.c. chi uccide un gatto viene condannato a morte.


È passato già qualche migliaio di anni da che i primi esemplari di gatto come noi lo conosciamo hanno iniziato a rapportarsi con l’uomo, in Africa.
Sembrerebbe che il gatto “degli egizi” che appare nei primi disegni intorno al 3.000 a.C, sia un discendente del gatto selvatico africano, variante di quello europeo, e a sua volta evoluzione dei felini che noi conosciamo e che abitano il mondo da 10 milioni di anni, molto prima dell’uomo, del cane e di altri mammiferi.
Se il gatto selvatico è animale più massiccio, solitario e ritroso agli uomini, il Mau africano, felino in miniatura, ha invece iniziato ad avvicinare i centri abitati e gli uomini che ci vivono, creando una pacifica convivenza.
Ma, tornando ai greci che se ne sono innamorati, visto che non possono comprare gatti, la risolvono all’antica: rubano agli Egizi alcune coppie di gatti per portarle in patria e farle accoppiare.
L’esperimento funziona molto bene e allora i greci vendono i gatti ai romani, ai galli, ai agli arabi, in oriente.
Il gatto piace ovunque e trascorre centinaia di anni felici accanto agli umani sino al Medio Evo, quando le tenebre della fede fanno sì che inizi a essere visto in modo diverso.
In una bolla papale di Gregorio IX si parla apertamente di rituali satanici di sette che utilizzerebbero il gatto come simbolo del Maligno.
Il gatto viene ritenuto colpevole di rubare il respiro ai bambini, di prevedere la morte (perché ama stare vicino alle persone che emettono calore, anche quelle malate) , di anticipare catastrofi ma anche litigi se miagola di venerdì, persino di far paralizzare un braccio se viene picchiato con la destra e di notte.
Si arriva a definirlo animale stregato e “famiglio” del Demonio.
Son probabilmente infondate le voci su persecuzioni sistematiche di gatti, ma di certo il periodo non è semplice per il MAU. Nasce per esempio la leggenda che seppellire un gatto vivo nella fondamenta renda più stabili le case, con le inevitabili conseguenze.
Invece nella cittadina fiamminga, visto l’eccesso di gatti, si inizia a lanciarli dalla torre della città trasformando questa usanza in un rituale.
Ma l’Illuminismo rischiara il mondo dalle tenebre e dall’ottocento in avanti il gatto smette di essere tormentato dall’uomo verso cui, invece, è sempre stato piuttosto affettuoso.
Oggi l’animale è diffuso in tutto il globo e continua a suscitare ammirazione per le caratteristiche uniche che la scienza ha progressivamente indagato e spiegato. .
Può correre a 50 chilometri orari e percorre i 100 metri in sette secondi, ma come tutti i felini non caccia sulla lunga distanza, ma sulla rapidità.
Sa nuotare, percepisce ultrasuoni e infrasuoni, vede meglio di notte ma più confusamente dell’uomo. Probabilmente è in parte daltonico.
Ha un udito quasi tre volte superiore a quello umano e un olfatto enormemente superiore all’uomo (200 milioni di terminazioni olfattive contro 5) e – chi lo direbbe? – due volte superiore a quello del cane. Per questo percepisce una femmina in calore a grandissima distanza.
Sente il sapore diverso dell’acqua, ma percepisce poco i gusti dolci.
Usa un’appariscente e comica orripilazione ovvero il diventare brutto drizzando peli e coda, per spaventare il nemico. In quei casi può anche emettere un ringhio.
Quando soffiano, invece, secondo gli etologi starebbero cercando di imitare i serpenti. Un modo per evocare nel nemico un animale pericoloso e tossico.
Il gatto usa i baffi per sentire variazioni nella pressione dell’aria e ostacoli e ha un sistema vestibolare sviluppato che garantisce equilibrio e permette di girarsi in caduta per atterrare sulle zampe.
Ma restano ancora diversi misteri insoluti, sul conto di questi animali. Per esempio come facciano fisicamente i gatti (ma anche i grandi felini) ad emettere le fusa.
Quanto al loro fine sembra siano una sorta di “telefono” naturale tra madre e cuccioli: facendo le fusa i gattini comunicano alla madre di essere in salute e, di rimando, la madre li rassicura.
Sono anche una manifestazione di rilassamento e affetto verso gli umani ma anche un modo per rassicurarsi o chiedere aiuto. Possono fare le fusa anche i gatti feriti o morenti.
Altro mistero è come i gatti talvolta, dopo essersi perduti, riescano a ritrovare la casa a grandissima distanza, anche centinaia di chilometri.
Dea Bastet, tu ne sai qualcosa?
Già, perché?

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