Questo romanzo dal titolo meraviglioso (quanto la copertina dell’edizione Feltrinelli) racconta la storia di un trapianto di cuore dal punto di vista di tutte le persone coinvolte: donatore, ricevente, famigliari, medici, infermieri.
Un libro chirurgico, in tutti i sensi.
Se la lingua di De Kerangal è ricca, molto (talvolta persino troppo, per il mio gusto) aggettivata e sapiente nell’uso delle immagini, lo stile è tagliente e procede per frasi brevi.
“Ho immaginato un movimenti diastolico e sistolico che segue il libro, un ritmo reso da questi piccoli gesti apparentemente insignificanti compiuti da coloro che compongono la catena umana capace di curare la ferita nel tessuto sociale, ovvero la morte di Simon».
La scelta della narrazione al tempo presente fa sì che noi leggiamo delle ore che segnano il destino di due vite – e delle molte altre a loro connesse – come se assistessimo a un film, in presa diretta, rendendo l’idea di una corsa contro il tempo.
L’uso del discorso indiretto è funzionale a questa scelta anche se, in qualche momento, rischia di diventare eccessivamente cronachistico.
L’autrice sceglie di raccontarci, dei personaggi sulla scena, quanto noi vediamo in quel momento: del loro “prima” sappiamo poco, del loro “dopo” non sapremo quasi nulla.
I fili restano sospesi come le vite che vanno avanti (e questo, dal mio punto di vista di narratore, rende un po’ più “facile” l’operazione/struttura del libro).
Ma questo romanzo di indiscutibile valore e meritato successo è speciale per come racconta la commistione di dolore e speranza, orrore e possibilità che si apre di fronte a un trapianto.
Descrive la tragica lentezza del mondo di chi perde tutto e la frenesia di chi deve correre per compiere l’impresa di usare quella morte per restituire vita.
Ci pone a contatto con i molti dilemmi e dubbi e paure che albergano negli uomini, anche di scienza, rispetto alla morte, ci racconta con brutale delicatezza il dolore di chi perde qualcuno.
C’è comunque empatia, nei medici di “Riparare i viventi”, esseri molto umani che vorremmo incontrare se dovessimo trovarci in un ospedale, dalla parte delle morte o della vita, che resta o che rinasce.

 


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