Per chi non avesse avuto modo di registrarsi al portale Lìberos, di seguito la recensione del mio libro.
“A viso coperto” di Riccardo Gazzaniga
di Anna Rita Longo
Un esordiente che proviene dal Premio Italo Calvino: basta questo a chiunque abbia una qualche conoscenza del panorama dei premi letterari italiani per capire che si sta parlando di un autore che ha superato una selezione durissima, improntata a severi parametri che si possono riassumere in una sola parola: qualità. A differenza di tante altre manifestazioni che sanciscono il trionfo della politica editoriale più scaltra o del maggiore investimento di denaro (e questo è ingenuo non sospettarlo, perché le case editrici sono imprese che sopravvivono se producono capitali), questo concorso premia chi ancora non si è affacciato al mondo dell’editoria e non può affidarsi ad altra presentazione che non sia la propria scrittura. A viso coperto è il romanzo vincitore dell’edizione 2012 del premio ed è una storia dura e difficile da digerire, che illumina con la luce violenta di un faro una realtà spiacevole e nota solo a chi la vive quotidianamente. È una storia di ultrà (nella fattispecie del Genoa, ma i tratti con i quali vengono dipinti sono universali e vanno al di là dei colori della squadra e della bandiera sventolata con orgoglio) ed è anche una storia di sbirri, di poliziotti dell’unità mobile, che ne devono frenare gli impeti e contenere i danni.
La prima cosa che colpisce, mentre si insegue, pagina dopo pagina, il dipanarsi del racconto, è il fatto che gli ultrà siano persone “normali”, che fanno lavori “normali” e hanno relazioni umane e familiari “normali”. Si tratta, alla fine dei conti, della fin troppo citata “banalità del male” di cui parla Hannah Arendt, talmente nota da essere diventata uno stereotipo. Nelle loro file, ad esempio, milita lo studente di giurisprudenza, che dovrebbe avere ben chiara la differenza tra legalità e devianza, ma anche l’infermiere, che nel corso della propria vita professionale si dedica a preservare la salute degli altri, non certo a metterla in pericolo con atti violenti. Alle spalle di queste persone ci sono amici, colleghi, fidanzate e mogli che spesso non immaginano che le persone che credono di conoscere siano in grado di compiere gesti efferati, dopo aver indossato un passamontagna e imbracciato corpi contundenti di fortuna. Ed ecco che la solitudine si rivela il tratto comune che unisce figure molto diverse per cultura e status sociale: la loro esistenza appare divisa in due dimensioni inconciliabili, quella del lavoro, della famiglia, delle relazioni affettive e quella dello stadio, della guerra, dell’odio nei riguardi dei nemici.
In questa storia ci si aspetterebbe di trovare i buoni dalla parte dei poliziotti. Eppure l’assoluzione non viene neppure per loro. Il celerino che deve fronteggiare le brigate di ultrà è perfettamente consapevole di andare in guerra. E la guerra è un affare sporco: impossibile mettervi le mani restando immacolati. Vi sono poliziotti – anche i più ligi al dovere – che descrivono il proprio lavoro in questi termini: «Quando eravamo ausiliari, qui al reparto, pestavamo ogni domenica come ferrai e non dovevamo mica giustificare nulla». Si avverte la presenza dell’adrenalina dello scontro, che non risparmia gli stessi agenti, ed è dura da dominare per non travalicare i limiti imposti dalla legge. E c’è chi non riesce a farlo e si tramuta in una bestia ancora peggiore degli ultrà, perché è una bestia consapevole, felice di esserlo.
Riccardo Gazzaniga conosce bene la materia di cui parla: agente dell’unità mobile della polizia di stato, in quelle mischie c’è stato e continua ad esserci e, come l’agente Vivaldi, sente il bisogno di far capire agli altri quanto diverso sia ciò che sembra da ciò che è. Nicola Vivaldi siede al computer per scrivere un saggio sugli ultrà, quel saggio che lo stesso Gazzaniga aveva pensato in un primo momento di pubblicare (e forse gli stralci che l’autore riporta sono simili a quel primo abbozzo), ma poi si rende conto che sarebbe inutile. Un saggio è in grado di leggere un fenomeno, di spiegarne le cause, di immaginarne le conseguenze, ma non potrà mai raccontare quali siano le sensazioni di coloro che lo vivono, che cosa provino i protagonisti, che cosa cambi in loro. Un romanzo può farlo in modo molto più efficace, e proprio questo è il principale merito di Gazzaniga: riuscire a restituire la propria voce, peculiare e distinguibile, a ciascuno dei personaggi, per far sì che il lettore possa vestirne alternativamente i panni. E scoprire, infine, che il dramma di tutti, nelle opposte fazioni, è molto simile: ci si aggrappa a qualcosa per conferire senso a un’esistenza che va stretta, per dimenticare sé stessi in nome di un ideale.
Link originale: http://liberos.it/notizie/a-viso-coperto/657