(Articolo pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” del 16 Aprile 2014)

Sono passati 14 anni, ma restiamo inchiodati al 2001, a Bolzaneto e alla Diaz: fantasmi di cui né il Paese né la Polizia sono riusciti a liberarsi, risvegliati da una sentenza europea come da un post su Facebook assolutamente sbagliato nei toni, nei contenuti, nella tempistica.

Fantasmi resi più forti dalle ombre e dai silenzi delle istituzioni.

Hanno taciuto sia la politica che il Dipartimento, responsabili di aver alimentato nel 2001 un clima da giorno del giudizio fra i poliziotti.  E poi gli errori tecnici: dalla scelta di Genova, all’incapacità di arginare i black bloc, passando per Bolzaneto fino all’epilogo Diaz.

I ruoli di comando, però, si sono defilati o riciclati: dal ministro Scajola, che per anni continuò la sua attività, al capo della Polizia De Gennaro che ha avuto e ha tuttora discutibili ruoli di punta nel Paese.  

Il “palazzo di vetro” auspicato anni dopo dal Ministro Cancellieri è rimasto una piramide il cui vertice è lontanissimo dalla base, cioè noi.

Io, per esempio, lavoro a Bolzaneto, caserma famigerata per le violenze subite dai fermati del G8, violenze inaccettabili e condannate dalla giustizia.

Ma è doveroso ricordare che nessuna delle persone condannate per quei fatti incresciosi era in forza al Reparto Mobile di Bolzaneto, a testimonianza di una confusione e di un commissariamento della città che ha causato danni enormi e lasciato sui lavoratori di Genova l’onta di quel passato.

Solo che questo nessuno lo disse mai e, a 14 anni di distanza, noi facciamo ancora i conti con quella fama. Poliziotti che nel 2001 andavano alle elementari rivivono quel passato e un clima d’odio, da “con la Polizia o contro la Polizia”: come se una discussione sulla Polizia non fosse una discussione di civiltà, che deve riguardare tutto il Paese.

È giusto che si sappia che, nel 2015, non esistono per i poliziotti percorsi codificati di valutazione e controllo dello stress fisico e psicologico: molti altri lavoratori sono sottoposti a verifiche periodiche più di noi che affrontiamo situazioni estreme, che mettono a rischio l’incolumità fisica e la tenuta mentale.

La svolta “militare” intrapresa negli ultimi anni con la chiusura dei concorsi pubblici e il passaggio obbligato attraverso le forze armate per entrare in Polizia ha interrotto il percorso di apertura che la riforma del 1981 voleva introdurre.

Il dibattito sui numeri identificativi sulla divisa non contempla mai il fatto che manca del tutto un discorso organico sul modello di ordine pubblico per tutelare anche chi opera professionalmente: se i tifosi del Feyenoord distruggono una celeberrima fontana, sale l’indignazione perché la Polizia non è intervenuta con la massima durezza possibile. Ma a quello stesso poliziotto, a distanza di pochi giorni, potrà essere richiesto di star fermo mentre viene preso a bastonate da una persona incappucciata che ha potuto arrivargli a un metro di distanza.

Le responsabilità di chi dispone sono infinitamente inferiori a quelle dell’operatore che mette in pratica la disposizione. La premiazione del merito è quasi azzerata, i concorsi tardano anni, il livello stipendiale è fra i più bassi d’Europa, la specificità del servizio non è riconosciuta, gli straordinari sono pagati con cifre risibili, le risorse diminuiscono drasticamente, anche per mezzi e addestramento.  

Se non si affrontano anche questi temi, si espone una categoria intera a pericolose derive corporative, nel nome di una difesa a tutti i costi che può solo risvegliare, ancora una volta, i fantasmi del 2001.

Riccardo Gazzaniga

Sindacato Italiano Lavoratori Polizia CGIL  

Genova

 

 

 

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