Astutillo Malgioglio
Stadio Olimpico, Roma, fine di una partita di serie B.
Il Vicenza ha appena battuto la Lazio 4 a 3 grazie anche alla papera del portiere laziale, un uomo che fino a questo giorno è stato famoso più che altro per il cognome di una personaggio televisivo (Malgioglio) cui si accoppia un nome stranissimo (Astutillo) e per i baffoni.
Ma in questo giorno Malgioglio passa alla storia con un gesto clamoroso.
A fine partita va verso la curva laziale, si toglie la maglia, fa il gesto di sputarci sopra, la lancia contro le reti e se ne va.
Un gesto eclatante che causa l’insurrezione non solo dei tifosi ma della società che ne chiede non sono il licenziamento ma persino al radiazione.
Non serve, Malgioglio rescinde il contratto e se ne va via da solo, esecrato da buona parte del suo sport.
Ma c’è un lungo perché dietro quel gesto.
Malgioglio arriva alla Lazio mal digerito, perché è stato alla Roma vice di Tancredi seppure con una sola presenza in campo. Ha legato con il capitano Di Bartolomei, con cui spesso ha visitato le terapie intensive.
Le sue prestazioni non convincono, sua moglie viene insultata quando va a fare la spesa, gli sputano addosso a fine di una partita, gli distruggono la macchina con le mazze, deve andare a casa scortato, lo minacciano di morte in un crescendo di tensione insostenibile.
Durante la partita gli cantano “Romanista sei il primo della lista”.
Ma non è neppure questo, che lo spinge al punto di rottura.
È l’accusa di non impegnarsi abbastanza per dedicare troppo tempo a un’attività extrasportiva che Tito, così lo chiamano, segue da anni: occuparsi di ragazzi affetti da disabilità cerebrali a Piacenza, impegnando ogni attimo libero, anche le ferie. Ha iniziato a 20 anni, quando giocava nel Brescia.
“Visitai per la prima volta un centro per disabili. Mi impressionò la loro emarginazione, il menefreghismo della gente.  Fu un’emozione fortissima, un pugno nello stomaco. Quel giorno tutto mi apparve chiaro. La vita non è solo una palla di cuoio. Mi sono messo a studiare e mi sono specializzato nei problemi motori dei bambini. Poi col primo ingaggio ho aperto una palestra ERA 77 (dalle iniziali del nome di mia figlia Elena nata nel 1977, mia moglie Raffaella e del mio). Lì offrivamo terapie gratuite ai bambini disabili. Li aiutavamo a camminare, a muoversi da soli”.
Per questo, fra gli insulti, gli urlano “mongoloide”, gli dicono di andare dai suoi handicappati.
Qualcuno sostiene che in quel giorno in curva appaia lo striscione “Tornatene dai tuoi mostri”, ma questa notizia non sarà mai confermata da prove certe.
Malgioglio, in quel giorno per lui fatale, decide di smettere di sopportare e s’incazza in modo plateale. Ma il mondo del calcio lo lascia solo, lo condanna. “Non offenderà più la maglia!” tuonano alcuni giornali.


“Ho sbagliato, ma dovevo fare qualcosa. Sono stato trattato come una bestia. Non merito insulti e minacce. Scappo per salvare mia moglie e mia figli. Non sono un ladro. Non sono uno venduto. Questo mondo non mi piace più, nemmeno i soldi mi interessano. Ho solo nausea. Si parla di minoranze, ma se la maggioranza resta in silenzio, decidono pochi imbecilli”.
Il celebre giornalista Gianni Mura di Repubblica, che assegna voti particolari agli sportivi che si sono distinti per episodi particolari scrive: “Non è un bel gesto, quello che ha compiuto domenica Malgioglio, ma è un gesto esemplare, da uomo onesto che ha sopportato anche troppo. La mia solidarietà e la mia stima si traducono in un 10 che non vuole essere provocatorio. Se in questo paese dal perdono facile il mostro è Astutillo Malgioglio, la sua è la sola bandiera che mi sento di rispettare”.
Il portiere decide che è finita, smette con il pallone, torna nella sua città, Piacenza, dove da anni si occupa di disabili.
Ma arriva una chiamata.
Dall’altra parte c’è Giovanni Trapattoni, in quel momento allenatore dell’Inter, che ha seguito la sua storia.
“Uno come te non può smettere così. Vieni a fare il secondo da noi” gli dice. “Sei anche comodo con Piacenza”.
Malgioglio accetta, diventa la riserva di Zenga e rimane all’Inter 5 stagioni. Le sue presenze in campo sono poche, 12 in tutto, ma il segno nel cuore dei tifosi è profondo. Un giorno, a Piacenza, porta con sé Jurgen Klinsmann, il grande bomber tedesco, che passa le ore coi ragazzi e alla fine sceglie di aiutare l’associazione Era77 con una grande donazione.
Succede poi che, nel 1989, proprio a Roma, con la Lazio, Malgioglio si trovi titolare per un infortunio di Zenga.
Il portiere viene invitato a presentarsi con un mazzo di fiori, anche se è convinto che non ci sia margine per una pacificazione, pensa che non servirà, le società insistono allora lui va verso la curva laziale, da solo. Lo insultano, gli lanciano di tutto, bottigliette, radio, frutta, tutto. Lui posa i fiori e va in campo sanguinante, l’Inter perde 2 a 1 eppure Malgioglio è il migliore in campo.
Una volta lasciato lo sport, deve chiudere la sua associazione per mancanza di fondi.
“Adesso che sono un ex, non ho più frecce nel mio arco, né forza per combattere. Quello del calcio è un mondo senz’anima. Gira solo intorno a se stesso e ai suoi piccoli drammi della domenica; ogni voce fuori dal coro è un pericolo. E quando smetti, si spengono le luci. Nessuno si ricorda più di te”.
Astutillo Malgioglio negli anni non ha trovato altri spazi nel mondo del calcio. “Uno come me spaventa” ha dichiarato eppure, ancora oggi, la sua storia rimane leggendaria nel calcio italiano.
L’Inter, nel 2019, ha deciso di premiarlo. “La figura di Malgioglio meritava un riconoscimento speciale. Il suo insegnamento, la capacità di spendersi in maniera sincera e silenziosa per chi soffre, si sposano in tutto e per tutto con i valori nei quali si riconosce il nostro Club. Ed è per questo che, con grande orgoglio, FC Internazionale Milano ha deciso di insignire l’ex portiere del premio BUU – Brothers Universally United”.
Ancora adesso Astutillo Malgioglio racconta la sua vicenda ai ragazzi e sostiene iniziative benefiche come testimonial, porta sostegno gratuito a domicilio dove e come può, scende in campo in partite per raccogliere fondi.
“Una piccola parte della vita che passiamo a volte bisognerebbe rivolgerla agli altri. Che sia per i disabili, gli anziani, i poveri. L’importante è farlo”.


Commenti